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Perchè siam donne: Dancing grannies, nonne danzanti o damas…signore di mezza età per un nuovo modello di vecchiaia

Vengono chiamate “damas” e scendono nelle piazze per danzare. Nonostante le critiche, queste donne cinesi stanno costruendo i nuovi canoni della vecchiaia.

Sono vestite con abiti coloratissimi e due volte al giorno, la mattina e la sera, occupano le piazze del paese per ritrovarsi e danzare a ritmo di musica rigorosamente ad alto volume.

Le “dancing grannies”, le #nonnedanzanti, sono un fenomeno diffuso in tutta la #Cina da oltre vent’anni e ripetutamente finiscono sui giornali, anche internazionali, per le reazioni che scatenano tra gli abitanti del quartiere. Per lo più si tratta di azioni di protesta contro la musica assordante.

Suscitano ilarità, tenerezza, ammirazione, così come possono sembrare eccessive, folkloristiche, libertine o semplicemente fastidiose.

Il tema veramente interessante, però, ruota intorno alla domanda: perché hanno questa visibilità sui media e fanno così discutere? Riassumendo si potrebbe dire che il motivo è che non abbracciano i canoni socialmente accettati in Cina, ovvero quelli della signora di mezza età, sessualmente non più appetibile, ritirata tra le mura domestiche, servile e a disposizione, dedita alla cura dei nipoti e dell’economia famigliare.

“Dama”, che letteralmente vuol dire “grande mamma”, è il termine con cui furono definite le signore di mezza età che nel 2013, in Cina, iniziarono ad investire tutti i risparmi nell’acquisto di oro dopo che il prezzo era crollato provocando, secondo alcuni, una sorta di tsunami che fece tremare addirittura Wall Street. 

Ma se la questione dell’oro è oramai quasi completamente dimenticata, il termine “dama” ha invece acquisito un significato tendenzialmente dispregiativo.

Teng Wei, direttrice del Centro studi culturali contemporanei della South China normal university, ha studiato da un punto di vista sociologico il valore semantico di questa parola, definendola: “Un’utile scorciatoia per descrivere le donne di mezza età che si rifiutano di adottare i modi aggraziati e materni che la società cinese si aspetta alla loro età. Quasi tutte le donne recalcitranti che vanno avanti con gli anni corrono il rischio di essere etichettate come ‘damas’. Spesso si trovano ritratte come pettegole, egoiste e del tutto prive di gusto, oltre ad essere il capro espiatorio di tutta una serie di mali sociali”.

La conclusione di Teng Wei è decisamente netta: “Quando usiamo ‘dama’ come insulto, ciò che stiamo realmente facendo è suggerire che ci sia qualcosa di intrinsecamente sbagliato nell’essere una donna di mezza età. È discriminatorio, classista, ed è ora di smettere”.

La maggior parte delle “nonne danzanti” è comunque “consapevole che i loro sforzi per creare un nuovo tipo di vecchiaia sembrano ridicoli ad altri. Creando un’estetica di genere dell’invecchiamento che riflette e risponde alle loro esperienze generazionali, queste donne ci stanno sfidando a ideare un nuovo modello di vecchiaia. Le ‘damas’ hanno dimostrato che è possibile tracciare un nuovo corso nel viaggio della vita. Quando le persone più giovani immaginano se stesse più anziane, ora c’è una gamma più ampia di possibilità”.

Oltre a non collimare con il modello cinese di invecchiamento, però, l’interesse della stampa internazionale denota una distanza simile con il modello occidentale, solo con una nota aggiuntiva di esotismo. In altri termini, quello che è emerge è che la dimensione della vecchiaia è da reinventare a livello globale e “le nonnine danzanti” stanno contribuendo a questo processo.

Molte società stanno rapidamente invecchiando e la “Silver economy”, ovvero l’economia che investe nella terza età come generazione di consumatori di primo ordine, ha aperto alla possibilità di scegliere come invecchiare.

Esistono #dancinggrannies anche in altri paesi, come il gruppo di Milwaukee negli Stati Uniti.

Ma il ballo è solo un’opzione tra mille e la ricerca di una nuova identità riguarda tanto le donne quanto gli uomini. Il punto è che sono sempre di più le persone che vogliono tornare ad essere protagoniste della propria vita, al di là dell’età anagrafica, dell’imbarazzo e del giudizio che possono suscitare negli altri per le loro condotte inaspettate.

Stanno aprendo delle strade e lo stanno facendo per tutti, non solo donne!

Cosa ci insegnano le “nonne danzanti” che in Cina infastidiscono i vicini (lifegate.it)

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Perchè siam donne: Enya e la sua musica per sognare,riflettere,trovare pace

Enya è un’artista straordinaria e un personaggio davvero unico nel suo genere, icona della musica irlandese. Se si pensa alla musica celtica, si pensa al suo nome. Perché oltre al suo indubbio talento, a renderla famosa è stata la scelta coraggiosa di imporre la musica delle sue origini all’intero mondo.

Eithne Pádraigín Ní Bhraonáin, il cui nome in inglese è Enya Patricia Brennan, è nata a Gaoth Dobhair, in Irlanda, il 17 maggio 1961 . Il villaggio in cui abita è una delle zone dell’isola in cui si

Cresciuta in una famiglia di musicisti, si unisce dopo la fine degli studi, nel 1979, al gruppo dei Clannad.

Tre anni più tardi lascia però la band per cercare fortuna da solista. Nel 1987 dà alle stampe il suo album di debutto, Enya, anticipato dal singolo I Want Tomorrow, che riesce ad arrivare al secondo posto nella classifica del proprio paese. parla ancora la lingua irlandese.

La svolta reale della sua carriera avviene però l’anno dopo, quando viene messa sotto contratto dalla Warner. Registra quindi il suo secondo album, Watermark, anticipato da Orinoco Flow, che diventa una hit internazionale, sorprendendo la stessa etichetta discografica.

Grazie proprio a questo brano e ai seguenti Evening Falls e Storms in Africa, il disco vende più di 10 milioni di copie e diventa il più importante esempio di musica New Age.

Sulla vita privata di Enya si conoscono pochissimi dettagli, essendo l’artista timida e molto riservata.

Vive dal 1997 nel castello Manderley, poco lontano da Dublino, una dimora in stile vittoriano risalente all’Ottocento e affacciata sul Mare d’Irlanda. Stando alle sue dichiarazioni in varie interviste non ha né marito né figli, non usa mai i social.mai i social,complice il suo amore e la sua dedizione totale per la musica, che le ha sempre impedito di creare una relazione sentimentale.

Lo stile musicale di Enya è un folk celtico malinconico ed etereo che sarebbe “sospeso fra i miti dei celti e la musica sacra, tra medioevo e new age”.

L’artista ha intrapreso questo percorso dopo alcune colonne sonore ancora vicine stilisticamente alla musica dei Clannad, gruppo del quale ha fatto parte prima di intraprendere la carriera solista.Tuttavia, già a partire da Watermark (1988), la sua musica è divenuta più personale.

Ciò che rende particolare il suo stile sono le numerose sperimentazioni sulla voce: fu infatti il suo produttore Nicky Ryan ad avere l’intuizione sulle cosiddette Multivocals, ed individuò nel timbro lieve ma allo stesso tempo potente di Enya il mezzo più adatto per creare i grandi muri sonori corali che l’avrebbero portata al successo in tutto il mondo. Questo particolare uso dell’overdub conferisce ai brani un sound caratteristico e inconfondibile: per ottenere questo risultato è necessario sovrapporre la voce della cantante anche 500 volte.

L’altra grande innovazione da riconoscere ad Enya ed al suo team sono senz’altro gli arrangiamenti: tutti gli strumenti sono suonati da Enya, tipicamente alla tastiera elettronica, con una maestria tale che le permette di fondere in maniera unica la musica tradizionale irlandese con la musica classica o addirittura la musica pop.

Nel corso della sua carriera Enya ha vinto quattro Grammy Award e sei World Music Award, le sono state conferite due lauree honoris causa e ha ricevuto una nomination al Premio Oscar e al Golden Globe

Enya è stata una perfetta compagna di viaggio nei miei studi di astrologia. La sua voce mi trasporta subito in altre dimensioni. Sempre.

Le mie preferite:

On my way home

The Memory of trees

Only time

Echoes in rain

Fonti:

Enya – Wikipedia

https:notiziemusica.it

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Perchè siam donne: Mary Smith che sveglia tutti e tutti i giorni

Questa è Mary Smith.

Mary Smith di mestiere faceva la Knocker-up (o knocker-upper). La sveglia umana, insomma.

Ogni giorno della sua vita, domeniche comprese (da un certo momento in poi), si alzò alle tre del mattino per cominciare a scarpinare le strade operaie di Londra.

Il suo lavoro consisteva in svegliare i lavoratori, per mandarli a lavorare.

Mary inventò un singolare sistema di sveglia, sparando con una piccola cannuccia dei fagioli alla finestra del cliente.

Per più di trenta’anni, dal 1930 in poi, Mary, dai marciapiedi, bussò – a modo suo – alle finestre delle classi umili, che non potevano permettersi una sveglia meccanica, e nemmeno di mancare al lavoro.

Per sei penny alla settimana, Mary garantiva l’alzata dell’interessato (l’accordo prevedeva che non sarebbe andata via da quel marciapiede fino a quando costui non avrebbe risposto, e in modo convincente).

Ce ne furono altri, ma Mary fu una delle più longeve, in quell’arte (in quel mestiere).

In molti raccontano che per ciascuno di loro quei fagioli eseguivano un ritmo percutivo diverso, nel rimbalzare sul vetro. Mai troppo invadente. Severo e musicale. Che li faceva alzare di buonumore.

Mary Anne Smith cedette il posto – e il suo attrezzo, la cerbottana – alla figlia Molly, alla fine dei suoi giorni, che lo portò avanti fino a metà degli anni ’70.

Si dice sia stata l’ultima Knocker-up di Londra.


Quella del Knocker-up era una professione che fu famosissima per circa un secolo in Gran Bretagna e Irlanda, svolta da un uomo (o donna) che passava in tutte le strade del proprio quartiere a svegliare gli operai che dovevano presentarsi a lavoro. Questo “bussatore -in alto”, nome che deriva dal bastone tipicamente usato per raggiungere le finestre delle case al primo o secondo piano, sopperì ad un deficit tecnologico ben preciso: la sveglia

Prima chiamata della mattina del 24 gennaio 1929: Charles Nelson di Hoxton, a East London, durante il suo quotidiano lavoro di bussatore, che svolse per 25 anni. Svegliava lavoratori come medici, commercianti ed autisti.

Se infatti queste ultime erano già state inventate, il prezzo di un orologio con allarme era completamente inaccessibile alla classe operaia (e non solo) che doveva recarsi a lavoro, ed il Knocker-up garantiva ai proprietari delle fabbriche che gli operai si presentassero, puntuali, alla propria postazione.

I “Battitori” non svegliavano soltanto gli operai, ma tutti quei lavoratori che dovevano alzarsi al mattino presto, compresi anche medici, insegnanti e classi sociali più agiate dei semplici operai.

Nonostante oggi consideriamo le sveglie degli oggetti assolutamente banali, sino agli anni ’50 del XX secolo queste erano poco affidabili e assai costose, ed i Knocker-up ebbero lavoro sino a circa la metà del secolo scorso.

Ogni mattina, quando ancora il sole non era sorto, il bussatore girava le vie di tutto il quartiere per svegliare i suoi abitanti che dovevano andare a lavorare. Il bastone che utilizzava era solitamente in Bambù, a volte con un peso alla sua estremità.

Nel caso in cui i lavoratori fossero al primo piano ovviamente la “sveglia umana” bussava semplicemente alla finestra, però lo faceva egualmente con un bastone per rendere il suono più sgradevole (e risvegliante).

Nel bel mezzo della rivoluzione industriale inglese, avvenuta fra il 1760 e il 1890 circa, i Knocker-up erano numerosissimi, e spesso erano persone anziane che si occupavano di svegliare i più giovani per il lavoro.

In città come Manchester, a fortissima vocazione produttiva, alle prime luci dell’alba un esercito di Knocker-up per decenni svegliò la popolazione, che si recava in fabbrica a lavorare. Accadeva a volte, soprattutto nelle città più piccole, che il Knocker-up fosse un poliziotto, che arrotondava la paga con il Penny settimanale che ogni lavoratore gli corrispondeva.

Graphite & Digital Media, 11″ x 14″, 2016.

I Knocker-up entrarono nell’immaginario collettivo inglese come gli spazzacamino o gli spazzini, e anche Charles Dickens, nel suo “Great Expectation”, ne da una descrizione approfondita.

Fonte: Vanilla Magazine

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Perchè siam donne: A Bologna c’è Isabella Seragnoli e il suo Mast

A Bologna c’è un posto molto bello.

Un posto dove i bambini possono vedere i film come al cinema, senza che le loro famiglie debbano spendere niente.

Oggi in questo posto ho visto bambini con le mamme bionde e piene di gioielli e altri bambini con le mamme col capo coperto dal velo, e altri bambini ancora seduti in mezzo alle loro mamme e ai loro papà che avevano gli occhi di chi è nato in Estremo Oriente.

Ed è stato bello vedere che tutti questi bambini, almeno per una volta, erano perfettamente uguali, che tutti potevano passare la domenica a guardare un film al cinema, senza che questo momento gravasse sul bilancio delle loro famiglie: perché non tutte le famiglie possono regalare ai propri bambini un pomeriggio al cinema.

Ma per fortuna a Bologna c’è una signora molto buona, qualcuno la definirebbe una filantropa, si chiama Isabella Seragnoli.

Io non l’ho mai incontrata, ma questa signora buona ha regalato a Bologna e ai suoi bambini la magia del cinema. Lo ha fatto creando un posto bellissimo dove ci sono mostre aperte a tutti, dove si tengono incontri e presentazioni di libri, e dove i bambini (ma anche gli adulti) possono guardare film che non vedranno in tv senza mai pagare un solo euro.

Possono anche avere biscotti e brick di acqua, cioccolata e the senza dover mai tirare fuori un solo spicciolo.

Questo posto si chiama Mast ed è il regalo più bello che Isabella Seragnoli ha fatto nella sua generosa vita: la cultura ai bambini. ♥️

Fonte:

Deborah Dirani | Facebook

Il “MAST. Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia” di Bologna è un grande centro polifunzionale che si estende per più di 25.000 m² e che ospita al suo interno – oltre a diversi spazi espositivi – anche un auditorium da 400 posti, una academy dedicata alla tecnologia, un asilo nido, una palestra, un ristorante e un caffè, e laboratori per bambini.

Si trova nella prima periferia bolognese, nel quartiere Santa Viola.

È stato creato dalla Fondazione MAST dell’imprendrice Isabella Seragnoli, presidente e azionista unica di Coesia, un gruppo che controlla diverse aziende di packaging e della meccanica tra le quali la GD, che la sua sede storica proprio accanto al MAST.

Isabella Seragnoli nasce in una famiglia di industriali bolognesi: i fratelli Enzo e Ariosto (rispettivamente padre e zio di Isabella) hanno strutturato l’impero del packaging e posizionandosi nel giro di pochi anni ai vertici mondiali del settore. È all’inizio degli anni 2000 che Isabella prende le redini delle svariate società di famiglia diventando presidente ed azionista unico di Coesia.

Ad oggi l’impero di Coesia vanta una forza lavoro di oltre 7mila dipendenti dislocati in oltre 38 paesi e si prevede un fatturato 2019 che supererà 2,2 Mld di euro.

Tuttavia la forza di Isabella è anche riversata nella minuziosa cura per i propri dipendenti, il welfare aziendale: con lei alla guida si sono strutturate nuove mense “moderne” con al centro l’educazione al buon cibo e alla sana alimentazione (ricordiamo che Isabella ha conseguito la Laurea in Dietologia); pacchetti per le famiglie con il nido e summer camp per i figli; pacchetti per la formazione personale, oltre alle agevolazioni per palestre ed eventi culturali.

Quest’ultimo punto è ulteriormente sviluppato con il progetto della fondazione MAST (Manifattura di Arti, Sperimentazione e Tecnologia), un luogo dove la principale mission è stimolare le nuove generazioni a molteplici interessi nel campo dell’imprenditoria, della tecnologia e dell’arte meccanica.

Isabella quindi pone l’investimento sulle persone come suo obiettivo di vita.

I suoi dipendenti, quindi, sono importantissimi per lei, ma ancora di più coloro che sono in difficoltà. Tramite la sua omonima Fondazione, Isabella riesce a sviluppare e a vincere importanti battaglie a sostegno dei malati non guaribili (gli Hospice dislocati in Emilia), dei disturbi del comportamento alimentare (Centro Gruber); sostiene finanziariamente l’ampliamento dell’Istituto di Ematologia del Policlinico di Bologna e la ristrutturazione di Istituti medici a Pisa; supporta gli sviluppi di nuovi programmi per la ricerca clinica e preclinica (corsi universitari in collaborazione con ASMEPA e UNIBO) a Bologna.

La voglia di Isabella di approfondire e sviluppare i «temi della filantropia nasce probabilmente anche da un trauma personale», dovuto alla scomparsa del fratello, morto per una leucemia a 16 anni: un momento fondamentale per Isabella, che la porterà ad essere una delle più importanti “mecenati sociali” dell’Emilia.

Le imprese, sia materiali che immateriali, di Isabella, ci aiutano a comprendere ancora di più l’importanza di Donne come lei, capaci di avere una salda responsabilità sociale verso il territorio e una visione imprenditoriale che non si limiti unicamente a numeri e dati, ma che converga sulla cura dei propri dipendenti, perno di ogni sana Impresa.

Isabella Seragnoli: esempio limpido di sana imprenditoria italiana.

ISABELLA SERAGNOLI: IMPRENDITRICE, FILANTROPA, DONNA ESEMPIO PER TUTTI – Studio Grimaldi (studiogrimaldipfi.it)

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Perchè siam donne: Le donne che hanno creato i grandi classici Disney

L’Età dell’Oro del cinema d’animazione non sarebbe stata possibile senza queste illustratrici, animatrici e art director

Cenerentola (1950), Dumbo (1941), Biancaneve e i sette nani (1937) e Bambi (1942) sono classici Disney che hanno segnato l’infanzia di milioni di bambini nel mondo ed hanno tutti una cosa in comune: il ruolo giocato dalle donne nella loro realizzazione è stato inestimabile.

Anche se sono stati i leggendari animatori dei primi giorni della Disney Production (noti come Disney’s Nine Old Men) a passare alla storia dell’animazione, la fabbrica dei sogni creata da Walt Disney ha aperto la strada a centinaia di donne. Ma le loro storie non sono così note come quelle delle loro controparti maschili.

Durante gli anni ’30 circa 100 donne lavoravano nei reparti di inchiostrazione e pittura della compagnia. Tuttavia, era difficile per loro accedere a posizioni di animatrici, si può notare questo atteggiamento discriminatorio in una delle lettere di rifiuto venute alla luce solo di recente.

In esse la Disney productions sosteneva che:

“Le donne non fanno nessuno dei lavori creativi legati alla preparazione dei cartoni animati per lo schermo, poiché questo lavoro è svolto interamente da giovani uomini.Per questo motivo, le donne non sono considerate per la scuola di formazione. L’unico lavoro aperto alle donne consiste nel ricalcare i personaggi su fogli di celluloide con inchiostro di china e riempire il ricalco sul retro.”

A partire dagli anni ’40, sempre più donne poterono accedere a posizioni migliori dei tradizionali lavori di inchiostratore e pittore.

Il 10 febbraio 1941, Walt Disney annunciò che lo studio avrebbe iniziato a formare donne come animatrici.

Tra le ragioni elencate per la formazione delle donne, Disney sostenne che sarebbe stato vantaggioso per le impiegate acquisire nuove competenze e mantenere il lavoro nella possibilità di una guerra che avrebbe arruolato giovani uomini. Aggiunse anche che le donne avevano il diritto di avere le stesse possibilità di avanzamento degli uomini.

Da quel momento in poi, decine di donne cominciarono a lavorare in altri dipartimenti, come animatrici, art director e character designer. Quelle che seguono sono solo alcune delle pioniere che sono riuscite ad arrivare a posizioni solitamente riservate agli uomini:

Retta Scott Animatrice

Retta Scott è considerata la prima donna ad essere riconosciuta come animatrice per un film Disney. Scott entrò nella casa di produzione nel 1938, dove iniziò a lavorare nel reparto storie.

Uno dei più grandi classici Disney, Bambi (1942), era in fase di produzione all’epoca. i.

La straordinaria qualità di alcuni dei suoi schizzi, come quello che mostra la famosa lotta tra alcuni cani da caccia e Bambi, catturò l’attenzione dei leggendari animatori Frank Thomas e Ollie Johnston.

La velocità, il dinamismo e l’energia degli schizzi erano tali che sia Thomas che Johnston decisero che solo Scott sarebbe stata la persona migliore per animare quelle scene.

E così fu. Quando iniziò la produzione di Bambi, Retta Scott fu promossa al dipartimento di animazione della Disney e animò l’agghiacciante scena di lotta che tenne migliaia di bambini incollati allo schermo. Scott ha partecipato anche alla realizzazione di Fantasia (1940) e Dumbo (1941)

Retta Davidson Animatrice

Retta Davidson iniziò la sua carriera alla Disney, come molte altre donne artiste, nel reparto inchiostrazione e pittura e lavorò nelle produzioni di Pinocchio (1940), Bambi (1942), e Fantasia (1940). Nel 1941, quando gli animatori maschi cominciarono ad essere arruolati per combattere nella seconda guerra mondiale, lo studio chiese alle pittrici e alle inchiostratrici di mostrare i loro lavori per valutare se fossero adatte a fare l’animatrice. Davidson fu selezionata, ma nel 1942, decise di arruolarsi in Marina rinunciando a questa opportunità.

Maria Blair Illustratrice e direttore artistico

La più conosciuta tra le donne animatrici degli anni d’oro della Disney è stata l’artista Mary Blair. I suoi disegni sono leggendari e ha contribuito a molte delle produzioni Disney di maggior successo. Mary Blair iniziò a lavorare nello studio nel 1940 come illustratrice per il film Dumbo (1941).

Nel 1941, Mary intraprese un viaggio in America Latina con altri animatori della compagnia. Blair e i suoi colleghi visitarono Messico, Cile, Argentina, Brasile, Perù e altri paesi, Questi viaggi ebbero un impatto significativo nell’evoluzione dello stile di Mary Blair.

L’artista assorbì l’estetica e la ricchezza di colori di quei paesi e la rifletté in concetti artistici colorati in film come Cenerentola (1950), Alice nel paese delle meraviglie (1951) e Peter Pan (1953).

La carriera di Mary Blair alla Disney non si limitò ai film d’animazione: Mary progettò It’s a Small World, una delle attrazioni più popolari di Disney World.

Ruthie Tompson Animatrice

Ruthie fu un’altra pioniera dell’animazione al femminile, anche lei iniziò il suo percorso professionale nel dipartimento di inchiostrazione e pittura. Nel corso di quattro decenni, lavorò a vari progetti, rivedendo i rodovetro di animazione prima che venissero girati e pianificando le scene per film come Fantasia (1940), Dumbo (1941), La bella addormentata (1950) e Mary Poppins (1964)

Ci sono state molte altre professioniste che hanno dovuto superare gli ostacoli del tempo per accedere alle opportunità nel mondo dell’animazione. Così facendo, hanno creato film classici per la gioia di migliaia di bambini in tutto il mondo.

Per curiosità:

Attualmente le tecniche di animazione non sono assolutamente comparabili con quelle impiegate in quel passato!

Ieri:

La tecnica di animazione dello stop motion. o animazione a passo uno. Si tratta di una delle tecniche più usate e apprezzate anche nel mondo del cinema, tanto che uno dei primi a usarla fu Georges Méliès – uno dei padri fondatori della settima arte – che la utilizzò nel 1902 per il suo film Viaggio nella luna.

La tecnica di per sé è molto semplice: si tratta di fotografare degli oggetti, dei disegni, delle marionette o delle persone in pose successive in cui la posizione o piccoli dettagli sono sempre leggermente variati. Questi fotogrammi mostrati poi all’occhio umano ad alta velocità (12 o 24 fotogrammi al secondo) simuleranno una particolare sensazione del movimento.

5 originali corti di animazione per lasciarsi ispirare | Pixartprinting

Oggi

L’animazione digitale (anche detta computer animation, intesa come parte della grafica compiuterizzata) cominciò a diffondersi negli anni sessanta . Dopo varie sperimentazioni le prime applicazioni commerciali furono quelle di realizzazioni di grafiche ed effetti speciali per film e sigle di programmi televisivi.

Animazione digitale – Wikipedia



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La buona notizia del venerdì: i ragazzi sostengono la libertà delle donne indossando minigonne.

Gli alunni dell’ultimo anno hanno dato il via all’iniziativa in solidarietà delle compagne, il cui corpo viene costantemente sessualizzato, andando a scuola in gonna

Per un ambiente più inclusivo e una scuola che sappia portare una gonna!, così si legge sul loro profilo Instagram, arrivato in poche ore a quasi 1000 follower. Il loro obiettivo? Manifestare il desiderio di vivere in un luogo in cui sentirsi liberi di essere ciò che si è e di non essere definiti dai vestiti che si indossano: così i ragazzi del Liceo classico Zucchi di Monza hanno deciso di dire la loro. Anzi, di indossare la loro: una gonna, per dire a tutti – e soprattutto ai loro coetanei – che si è “contro la sessualizzazione del corpo” e la “mascolinità tossica”.

L’iniziativa, già al secondo anno, chiama Zucchingonna ed è stata ideata dagli alunni dellultimo anno riprendendo eventi simili organizzati in altri Paesi.

Sui social lo scopo lo spiegano gli stessi ragazzi:Viviamo in una società che, per quanto ami definirsi libera e inclusiva, non si dimostra tale. Le problematiche riguardanti le discriminazioni sono tantissime, ma impossibili da affrontare tutte insieme. Come in tutte le cose infatti bisogna fare piccoli passi alla volta, e perché non partire da un oggetto semplice e concreto?Una gonna, per esempio, ci permette di sollevare due importanti questioni, attuali ed evidenti a chi combatte per l’inclusione: la sessualizzazione del corpo femminile e la mascolinità tossica. Sono problematiche diffuse nella nostra società, e quale luogo migliore se non la scuola riflette il sistema nel quale ci troviamo a convivere con tanti altri. L’ambiente scolastico infatti dovrebbe farci sentire protetti e compresi nel nostro esprimerci liberamente.

A dire la sua circa questa tematica è anche la dirigente scolastica dell’Istituto Zucchi, la dottoressa Rosaria Caterina Natalizi Baldi:Gli studenti e le studentesse stanno difendendo uno sguardo pulito sulla donna, dotata di intelligenza e cuore, anche di una fisicità , che ne palesa la differenza e non la subalternità. La vera lotta, secondo me, è per esempio rivolgersi alle compagne guardando al loro volto, alla loro intelligenza, alla loro sensibilità. Sempre.

Sui social lo scopo lo spiegano gli stessi ragazzi:Viviamo in una società che, per quanto ami definirsi libera e inclusiva, non si dimostra tale. Le problematiche riguardanti le discriminazioni sono tantissime, ma impossibili da affrontare tutte insieme. Come in tutte le cose infatti bisogna fare piccoli passi alla volta, e perché non partire da un oggetto semplice e concreto?Una gonna, per esempio, ci permette di sollevare due importanti questioni, attuali ed evidenti a chi combatte per l’inclusione: la sessualizzazione del corpo femminile e la mascolinità tossica. Sono problematiche diffuse nella nostra società, e quale luogo migliore se non la scuola riflette il sistema nel quale ci troviamo a convivere con tanti altri. L’ambiente scolastico infatti dovrebbe farci sentire protetti e compresi nel nostro esprimerci liberamente.

A dire la sua circa questa tematica è anche la dirigente scolastica dell’Istituto Zucchi, la dottoressa Rosaria Caterina Natalizi Baldi:Gli studenti e le studentesse stanno difendendo uno sguardo pulito sulla donna, dotata di intelligenza e cuore, anche di una fisicità , che ne palesa la differenza e non la subalternità. La vera lotta, secondo me, è per esempio rivolgersi alle compagne guardando al loro volto, alla loro intelligenza, alla loro sensibilità. Sempre.

Un giorno a scuola con la gonna per i ragazzi del Liceo classico Zucchi di Monza, contro la sessualizzazione del corpo della donna – greenMe

Gli uomini sostengono i diritti delle donne indossando minigonne.

Sta accadendo in Turchia, da dove è partito l’hahstag che ha spopolato sui social #ozgecanicinminietekgiy, che tradotto significa “indossa una minigonna per Ozgecan.

Come spiega la nota avvocato e attivista Hulya Gulbahar, la protesta della gonna è “molto efficace” ed è la prima volta che i diritti delle donne vengono così ampiamente sostenuti in Turchia. Nonostante i progressi nella legislazione turca, i dati più recenti sulla violenza contro le donne mostrano che due donne su cinque ancora esposte a soprusi di natura sessuale e fisica.

La protesta della minigonna, in questo senso, ha fatto centro. Anche ricordando agli uomini turchi l’importanza di riconsiderare i loro atteggiamenti. Certo, è una goccia nel mare, ma il suo significato simbolico è molto potente. E decisamente virale.

Uomini turchi in minigonna contro la violenza sulle donne (#ozgecanicinminietekgiy) – greenMe

https://www.tgcom24.mediaset.it/mondo/spagna-i-prof-insegnano-con-la-gonna-impazza-laropanotienegenero_33529722-202102k.shtml

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Perchè siam donne: Josephine Baker la ” Venere nera” entra nel Pantheon di Parigi

Josephine Baker, prima donna nera nel Pantheon di Parigi. –

L’omaggio della Francia all’artista, ballerina, combattente nella resistenza all’occupazione nazista e attivista contro il razzismo –

Oggi è il giorno in cui Josephine Baker entra simbolicamente nel Pantheon di Parigi: la prima donna nera a ricevere la più alta onorificenza francese.

Una “figura eccezionale” che “incarna lo spirito francese”, “una donna la cui intera vita è stata dedicata alla ricerca della libertà e della giustizia” si legge nella motivazione con cui Emmanuel Macron ha spiegato la scelta di celebrare Josephine Baker che è anche la prima persona nata negli Stati Uniti e la prima ‘performer’ a essere immortalata nel nel Pantheon, raggiungendo figure come Marie Curie, Voltaire, Victor Hugo e altri personaggi che hanno illustrato la Francia. Ballerina, cantante, nata negli Stati Uniti in povertà e segregazione, star della “Revue Nègre” a Parigi tra le due guerre, combattente della resistenza all’occupazione nazista, attivista contro il razzismo: ecco chi era Josephine Baker. –

Nata Freda Josephine McDonald, il 3 giugno 1906 a Saint Louis nel Missouri, da madre nativa americana e padre di origine spagnola, trascorre gli anni della gioventù nella povertà e nella segregazione. Messa a servizio domestico abbandona la scuola. A 13 anni il primo matrimonio. Successivamente si unisce a una compagnia di artisti di strada e nel 1921 sposa Willie Baker, di cui  manterrà il nome anche dopo la separazione. Parte per tentare la fortuna a New York e a sedici anni debutta a Broadway. Nel 1925 arriva a Parigi con Sidney Bechet. l 2 ottobre 1925, diventa la star della “Revue Nègre” al Théâtre des Champs-Elysées. Qui, in breve tempo conquista il ruolo di prima ballerina e diventa una celebrità a Parigi. La sua danza, un infuocato charleston eseguito in un’ambientazione esotica che unisce il gusto piccante e ricercato del varietà francese al folklore della musica africana, lascia il pubblico a bocca aperta. 

Nel 1927, alle Folies Bergères, Josephine Baker si spinge ancora oltre nello sfruttare le fantasie coloniali dell’epoca esibendosi vestita soltanto di una cintura di banane, accompagnata da una pantera. La prima canzone che esegue nel 1930 al Casino de Paris, “J’ai deux amours, mon pays et Paris”, la consacra definitivamente come diva. –

Nel 1937 ottiene la cittadinanza francese attraverso il matrimonio con Jean Lion. Il matrimonio dura un paio d’anni e nel 1940 la “Venere nera” si rifiuta di cantare davanti ai tedeschi nella Parigi occupata dalle truppe naziste. In realtà, già dallo scoppio della Seconda Guerra Mondiale Josephine Baker era entrata nel controspionaggio francese. Durante tutta la guerra, fornisce informazioni alla Resistenza e si esibisce per le truppe alleate, per le quali riceve la medaglia della Resistenza nel 1946 e la Legion d’onore nel 1957 da Charles De Gaulle.

Dopo la guerra Josephine Baker partecipa alla lotta contro il razzismo in Francia e negli Stati uniti. Con il suo ultimo marito, il direttore d’orchestra Jo Bouillon, sposato nel 1947, adotta dodici bambini di diverse culture e origini da tutto il mondo, la sua “tribù arcobaleno”, per dimostrare che “esiste una sola razza umana”. 

Nel 1963, durante la marcia per i diritti civili a Washington guidata da Martin Luther King, il “giorno più felice della sua vita”, Josephine Baker tiene il suo discorso nell’uniforme dell’esercito francese, con le sue decorazioni. –

Negli ultimi anni assume un ruolo importante l’incontro, l’amicizia e il sodalizio con Grace Kelly, già principessa di Monaco, che apprezza il suo talento e l’aiuta concretamente.

Ma c’è anche il riconoscimento istituzionale da parte della Francia, nella persona dell’allora presidente della repubblica, V. Giscard d’Estaing, che in un famoso telegramma scrive: “Nel rendere omaggio al suo talento universale e nell’esprimerle la riconoscenza della Francia il cui cuore ha così spesso battuto insieme al suo, le invio, cara Joséphine, i miei più amichevoli auguri in occasione delle nozze d’oro (1925-1975) che Parigi celebra con lei” Joséphine continuerà a cantare e a ballare fino all’ultimo (sessantotto anni), instancabile, allegra, piena di sogni e di forza.

Il 12 Aprile del 1975 muore in seguito ad un’emorragia cerebrale. I funerali, a cui partecipano ventimila persone, si svolgono nella chiesa della Madeleine de Parise e Joséphine viene poi sepolta nel cimitero del Principato di Monaco.

Sapete che ho sempre scelto la strada più difficile. Diventando vecchia, sicura di averne la forza e la capacità, ho preso quel sentiero difficile e ho cercato di renderlo un po’ più facile. Volevo renderlo più facile per voi. Voglio che abbiate l’opportunità di fare tutto quello che ho fatto io, senza che siate obbligati a scappare per ottenerlo.

Fonti

Joséphine Baker | enciclopedia delle donne

Josephine Baker, prima donna nera nel Pantheon di Parigi. La vita attraverso le immagini – Photogallery – Rai News

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Perchè siam donne: L’arma segreta delle donne dai tempi dei tempi …ancora oggi?

Bravery of the Persian Women

Frans Francken the Younger(1581-1642)

Il coraggio delle donne persiane è uno dei primi esempi dei celebri dipinti storici di Frans Francken il Giovane.

Qui ritrae una delle storie raccontate da Plutarco nel quinto volume dei suoi Moralia, ( 46/48 d.C.) dedicato al coraggio delle donne.

Battendo una frenetica ritirata, l’esercito persiano guidato da Ciro il Grande (590 a.C. – 529 a.C.) cercò di rientrare in città da dove proveniva, con il rischio di portare con sé il nemico inseguitore.

Furiose per essere messe in pericolo, le donne della città corsero incontro ai soldati e sollevarono le loro vesti per farli vergognare. Accusando i loro mariti di codardia, le donne li esortarono a tornare in battaglia. Mortificati, i Persiani rinnovarono il loro coraggio e tornarono a sdorsi il nemico.

Questo dipinto delle dimensioni di una parete è esemplare dell’abilità tecnica di Francken nella composizione di scene di folla strettamente imballate e nella resa di piccole figure. È anche tipico della sua preferenza per argomenti storici o allegorici che potevano – come i racconti di Plutarco – trasmettere un messaggio morale allo spettatore.

Anticipando di centinaia di anni un gesto di coraggio delle donne! Così pensava Plutarco!

Nel diciannovesimo secolo in Cina le donne salivano in cima alle mura delle città e alzavano le vesti per spaventare gli uomini.

Nel 1958 settemila donne nel Camerun Occidentale, in Africa, hanno alzato le loro gonne in una incredibile dimostrazione per protestare contro i regolamenti governativi che stavano cambiando in peggio il modo in cui le donne coltivavano la loro terra. Le donne hanno vinto!

Alzare deliberatamente le gonne per rivelare la propria femminilità è il gesto più antico e più orgoglioso usato individualmente e collettivamente dalle donne da millenni per proteggere le loro famiglie, case, comunità, fertilità e stile di vita. E farsi riconoscere come individui con gli stessi diritti e gli stessi doveri di ogni appartenente alla società umana.

La domanda è: é ancora questo il miglior gesto di coraggio delle donne per farsi valere?

Ne abbiamo di strada da fare!

Fonte:





(20+) Catherine Blackledge | Facebook

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Perchè siam donne:Plautilla Bricci pittrice e architettrice del barocco

Plautilla Bricci è stata una pioniera, una prima donna, ovvero la prima architetta d’Europa.

Il suo lavoro ha regalato a Roma bellezza e arte. A raccontare questa figura così importante della storia artistica della città è una mostra allestita alla Galleria Corsini: “Una rivoluzione silenziosa: Plautilla Bricci, pittrice ed architettrice”.

Si tratta della prima esposizione interamente dedicata alla figura e al lavoro dell’artista che operò nella Roma barocca. In mostra, l’intera produzione grafica e pittorica dell’artista e vari progetti rinvenuti nell’Archivio di Stato, come uno per il rifacimento della Scalinata di Trinità de’ Monti.

Plautilla Bricci nacque nell’agosto del 1613 in quel dedalo di vicoli intorno piazza del Popolo che allora e anche dopo era ad alta densità di artisti, pittori, musicisti, scrittori.

Il padre di Palutilla era appunto, uno di questi artisti e faceva parte del circolo del Cavalier D’Arpino.

Sebbene non fosse frequente per una donna all’epoca diventare un’artista di fama, una firma capace di attrarre a sé incarichi prestigiosi e ricche commesse, ormai sappiamo, grazie alle ricerche degli ultimi anni che di artiste ce ne erano.

In particolare, la sorte che spingeva una donna a intraprendere la strada dell’arte era spesso legata a due o alla vita claustrale nelle quattro mura di un monastero (circostanza che ci ha regalato grandi pittrici e miniaturiste) oppure, come nel caso di Plautilla, l’essere figlia di artista. 

Il che apriva la strada all’apprendimento diretto delle tecniche pittoriche nei laboratori artigianali di famiglia, come era accaduto anche per la più celebre collega pressoché contemporanea della Bricci, ovvero Artemisia Gentileschi.

Fu così che Plautilla, grazie al padre Giovanni e alla frequentazione del circolo di intellettuali che si riunivano intorno al Cavalier d’Arpino potè apprendere le tecniche pittoriche e i rudimenti dell’architettura per poi intraprendere la propria carriera e contribuire a quell’esplosione di splendore che fu la Roma Barocca.

L’incontro che cambiò le sortì e diede spinta alla carriera artistica di Palutilla Bricci fu quello con l’abate Elpidio Benedetti. Messo pontificio a Parigi, al suo ritorno dalla Francia era in cerca di giovani talenti da proporre al cardinale Mazzarino.

La sua attenzione si posò su una giovane donna artista che iniziava a farsi strada. Siamo intorno al 1630 e Plautilla Bricci inizia a lavorare con costanza. Delle sue opere ne sono arrivate molto poche a noi, e tutte di un periodo successivo. Ma sappiamo per esempio, che la pittrice e architetta frequentò la prestigiosa Accademia di San Luca.

Sebbene ebbe diverse commesse come pittrice, la vera fama arrivò con la sua opera di architetta, architettrice.

La scoperta di documenti inediti sulla vita di Plautilla, l’identificazione di nuove opere e il restauro dei suoi progetti architettonici conservati presso l’Archivio di Stato di Roma , consentono di fare nuova luce su questa affascinante figura di artista, unico architetto donna dell’Europa preindustriale.

In mostra si potranno ammirare un ambizioso progetto della Bricci per la scalinata di Trinità dei Monti (1660), la vasta lunetta da lei dipinta per i Canonici lateranensi (1669-1673) e altre due sue tele conservate a Poggio Mirteto, restaurate per l’occasione: lo Stendardo della Compagnia della Misericordia raffigurante la nascita e il martirio del Battista (1675) e la Madonna del Rosario (1683-1687) del duomo.

Chiude l’esposizione un prestito eccezionale: il quadro d’altare raffigurante San Luigi IX di Francia tra la Storia e la Fede dipinto da Plautilla per la cappella di San Luigi (1676-1680) nella chiesa dei Francesi, interamente progettata dall’architettrice per l’abate Benedetti, accanto alla cappella Contarelli.

A incaricarla della sua opera forse più celebre, compiuta con il fratello Basilio, fu ancora una volta Benedetti che la incaricò della costruzione della villa, presso Porta San Pancrazio, detta poi ‘del Vascello’.

Come si sa, la villa venne distrutta dalle cannonate francesi nell’assedio alla Repubblica Romana, ma dalle testimonianze precedenti sappiamo che l’opera venne molto elogiata e con lei l’architettrice.

Ciò che possiamo ancora ammirare invece è la cappella creata all’interno della Chiesa di San Luigi dei Francesi. Nota per lo più per i dipinti di Caravaggio, all’interno della chiesa la cappella principale è opera proprio di Plautilla Bricci. E’ dedicata a Luigi IX e all’interno splende la a pala d’altare ‘La Francia tra la Storia e la Fede’.

Il quadro è ora in mostra alle Gallerie Corsini.

Dopo questi due trionfi, Plautilla continuò a lavorare fino circa al 1692 quando decise di ritirarsi, ormai anziana, in un convento a Trastevere, dove morì alla fine del 1705.

Sebben che siamo donne” è il titolo di uno dei tanti canti delle donne mondine che rivendicavano il loro salario come al solito minore di quello degli uomini.
Con questo titolo pubblicherò articoli che parlano di donne che non hanno ricevuto i dovuti riconoscimenti e per il loro ingegno e per il lavoro fatto. Solo per il fatto di essere donne. O temporanea
mente dimenticate.

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Perchè siam donne: Anche al Vaticano le quote rosa!

Donne nella chiesa.

Ora ce n’è una donna fra i consiglieri del Papa.

 Suora Nathalie Becquart è stata nominata da Papa Francesco come sottosegretaria del Sinodo dei vescovi, consiglio permanente che ha il compito di aiutare il pontefice nel governo della Chiesa cattolica.

Per la prima volta una donna avrà diritto di voto nel Sinodo che, da quando fu istituito da Papa Paolo VI nel 1965, ha visto votare esclusivamente i vescovi. Negli anni le donne erano state uditrici e avevano avuto la possibilità di intervenire in assemblea, mai di votare.

Suor Nathalie Becquart, nata a Fontainebleau nel 1969, è una componente della congregazione delle missionarie saveriane. È stata responsabile della pastorale giovanile e vocazionale presso la Conferenza episcopale francese. Da due anni è consulente del Sinodo chiamata per le sue competenze come è possibile fare per persone che non sono vescovi. Insieme a suor Becquart, è stato nominato sottosegretario anche padre Luis Marín de San Martín.

Per la severiana francese è insieme una chiamata al servizio e un’avventura. «Non avrei mai immaginato questo; ho sperimentato che lo Spirito Santo è pieno di sorprese. Sono molto colpita e allo stesso tempo ricevo questa nomina come una chiamata da parte della Chiesa e di Papa Francesco che viene ad unirsi ad una chiamata interiore che sento ormai da parecchi anni a mettermi al servizio la sinodalità».

È chiaramente una nuova apertura alle donne da parte di Papa Bergoglio. «Questo compito lo accolgo come un segno di fiducia verso le donne nella Chiesa, per le religiose, e più in generale anche per i laici e come risposta a tutto ciò che è stato detto durante gli ultimi Sinodi e su cui il Papa insiste molto: la sfida di coinvolgere le donne nelle decisioni e nel discernimento nella Chiesa».

Suor Becquart confida nel lavoro in una squadra diversificata. La sfida è questa: «Lavorare insieme nella Chiesa, uomini, donne, sacerdoti, vescovi, laici, religiosi, nella diversità delle vocazioni».

Per la parità di genere anche fra le cariche pontificie, Papa Francesco ha inoltre annunciato la nomina di Suor Raffaella Petrini, appartenente all’ordine delle Suore Francescane dell’Eucaristia (istituto nato negli Stati Uniti negli anni ’70), come segretario generale del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano. per la prima volta una donna detiene il potere esecutivo in luogo del Pontefice

Finora alla religiosa era affidato l’officio della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli.

Il Governatorato vaticano è l’organo che esercita il potere esecutivo nello Stato di Città del Vaticano in luogo del Santo Padre, fu istituito nel marzo 1939 e ha sede nello storico Palazzo del Governatorato in Vaticano.

È la prima volta che una donna occupa questo ruolo, e questa nomina dimostra ancora una volta la forte impronta rivoluzionaria che il Papa sta imprimendo al governo del Vaticano, finora fortemente improntato al maschilismo.

Suor Petrini, 52 anni, si è laureata in Scienze Politiche e ha conseguito un dottorato presso la Pontificia Università San Tommaso d’Aquino, dove lavora attualmente come docente.

SALE

Fonti:

Papa Francesco sceglie Suor Petrini come segretario del Governatorato: è la prima donna a ricoprire l’incarico – greenMe

Donne nella chiesa, il Papa nomina Suora Becquart: «Segnale importante» | Vanity Fair Italia

Eva ringrazia!