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Perchè siam donne: Cosa c’entra il surrealismo, Dalì e Coco, con la più geniale e anticonformista e visionaria stilista del primo novecento: Elsa Schiaparelli.

Un abito non è solo stoffa: un abito è un pensiero”.

Così affermava Elsa Schiaparelli.

Elsa Schiaparelli, insieme a Coco Chanel, viene considerata una delle più influenti figure della moda nel periodo tra le due guerre. Dagli abiti ispirati al surrealismo alla creazione del rosa shocking

Elsa Luisa Maria Schiaparelli nasce a Roma il 10 settembre 1890 in una famiglia d’intellettuali e studiosi. Lei stessa apprende la filosofia ma, quando decide di dedicarsi alla poesia, i genitori ritengono tale inclinazione inopportuna, e la mandano in convento.

Nel 1913 parte per Londra: qui conosce il teosofo William de Wendt de Kerlor che sposa e da cui ha una figlia Maria Luisa Yvonne Radha detta Gogo, ma, nel 1922, chiede il divorzio.

Elsa  nel 1930 viene in contatto con gli artisti dell’avanguardia dadaista, da Marcel Duchamp al fotografo Man Ray, fino a Francis Picabia: amica della moglie di quest’ultimo, con lei fa ritorno in Europa, più esattamente a Parigi.

E’ proprio nel suo appartamento parigino realizza i pullover neri con dei motivi trompe-l’oeil a contrasto e inventa, così, la lavorazione a doppio nodo, o bow-knot, per concretizzare i decori sulle maglie che ingannano l’occhio. Rivoluziona così la concezione del maglione come indumento da lavoro , pratico senza forma.

E nel 1928 apre Schiaparelli -pour le sport in cui vengono prodotti capi sportivi d’alta moda e costumi da bagno.

In principio quello che noi oggi chiamiamo rosa shocking era identificato come rosa Schiaparelli. Una tonalità di rosa con un rosso carminio ad esaltare il tono del bianco

Creato da Elsa per l’uscita del suo profumo Shocking de Schiaparelli, avvenuta nel 1937. Il colore è definito «luminoso, impossibile, sfacciato, inappropriato, vivificante, come tutta la luce e gli uccelli e i pesci del mondo messi insieme, un colore della Cina e del Perù ma non dell’Occidente»

Gli abiti  di Elsa sono spesso legati a doppio filo con le suggestioni provenienti dal mondo della pittura, della scultura e dell’avanguardia culturale che caratterizza Parigi negli anni ’30.

Le creazioni più famose sono nate dall’interesse di Elsa Schiaparelli per il Surrealismo e i suoi esponenti, che frequenta e con cui collabora.

Su tutti va ricordato il sodalizio professionale tra Elsa e Salvador Dalì, il quale confluisce nella storica collezione A/I 1937-1938: le creazioni sono vere opere artistiche

Tra gli abiti che Elsa realizza insieme a Dalì c’è il celebre Lobster dress, l’abito aragosta indossato da Wallis Simpson, che si rifà a un altrettanto famosa idea dell’artista e la giacca da circo con bottoni in ceramica a forma di acrobati.

Non solo abiti: Elsa Schiaparelli per il profumo Roy Soleil chiama ancora a rapporto l’estro di Dalì, che ne progetta il flacone.

L’abito a cassetti è un chiaro riferimento all’opera surrealista di Dalì “Venere di Milo”del 1936. E’ un tailleur nero con tasche, appunto, a cassetto. Celebrazione della bellezza e dei misteri nascosti della figura femminile.

L’abito a scheletro è il pezzo forte della sua collezione del 1938. Il vestito è un lungo tubino nero realizzato in crêpe di cotone, dove uno scheletro idealizzato è scolpito sulla stoffa del busto e sulla gonna. Il disegno fu fatto proprio da Salvator Dalì: nella sua bozza le ossa delle gambe sarebbero dovute essere unite al bacino per mezzo di nodi a catena tipici dei gioielli.

Tra gli accessori della collezione autunno inverno 1937/1938 il più originale c’è di sicuro il cappello a forma di scarpa Elsa si era ispirata ad una sciarpa di Gala, la moglie di Dalì e sua grande amica.

Elsa Schiaparelli e il cappello a forma di scarpa sono citati nei manuali di arte, oltre che in quelli di moda. Un’intuizione semplicemente geniale che è anche il sunto della brillante ironia di Elsa e dello spirito visionario di Dalì.

La Maison Schiaparelli nata nel 1928 è oggi ancora attiva.

Elsa Schiaparelli ha lasciato al mondo della moda creazioni molto originali ,innovative, anticonformiste, fantasiose, uniche nel loro genere che possono essere considerate tranquillamente prove d’artista.

Nello stesso tempo ha avviato contatti commerciali con l’industria manifatturiera pur disegnando capi avanguardistici, anticipando così gli stilisti moderni, che all’aspetto artistico uniscono anche quello commerciale.

E oggi succede a Milano :

Abito “testa di mucca” stile Schiaparelli sfila a Milano per promuovere alternative alla pelle – greenMe

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La buona notizia del venerdì: Al Niguarda di Milano è carnevale anche per i neonati del reparto TIN

Una ranocchietta tutta verde che riposa beata, una tartarughina accoccolata, una margherita bianca e gialla che aspetta di essere colta, un Pinocchio con un papillon blu, una salopette rossa, una maglietta gialla. Un gufetto riposa sulla spalla dell’infermiera che lo coccola. Una coccinella, tutta rossa e nera, stringe i pugnetti sotto la copertina. Un girasole giallo giallo dorme della grossa.

Succede nel reparto di Terapia intensiva neonatale (Tin) dell’ospedale Niguarda. Qui anche i «bebè piuma» si sono «mascherati» in occasione del martedì di Carnevale.

I costumini sono stati realizzati a mano dalle volontarie dell’Associazione Cuore di Maglia.

E questo succede ogni anno a Carnevale (ma non solo) si trasformano in stiliste d’eccezione.

E così, malgrado le difficoltà che devono affrontare questi piccoli pazienti, le preoccupazioni dei loro genitori, le limitazioni del Covid, non è mancato il tradizionale appuntamento colorato, anche grazie all’aiuto dell’associazione Neo-Amici della Neonatologia del Niguarda.

Nella Tin vengono ricoverati i nati prematuri, che qui ricevono le prime cure. Si tratta di un reparto di terapia intensiva a tutti gli effetti, ma a misura di bebè. Insieme ai piccoli, anche le mamme rimangono in ospedale per tutto il tempo necessario.

Il Niguarda è un punto di riferimento in Lombardia in questo campo e ogni anno accoglie circa 350 prematuri, quasi uno al giorno.

La sopravvivenza supera il 90 per cento, e l’impegno di medici, infermieri e specialisti del reparto non è venuto mai meno durante l’emergenza coronavirus.

L’Associazione Cuore di Maglia ha alle spalle una storia tenera e potente costruita giorno dopo giorno dai volontari sparsi in tutta Italia che realizzano a maglia morbidi cappellini, scarpine, dudù e copertine, per avvolgere, scaldare e colorare i piccini ricoverati in più di 90 reparti italiani di Terapia Intensiva Neonatale.

Siamo vicini a bambini e genitori. Comprendiamo le problematiche delle TIN, e ci sentiamo parte della vita che lì scorre lenta, con emozioni intense che non risparmiano nessuno.

Lavoriamo per sostenere e favorire la CARE, il protocollo di cura e accudimento che contribuisce allo sviluppo dei piccoli e facilita le relazioni genitoriali nell’ambiente alieno della terapia intensiva.

La nostra storia viaggia di città in città, i nostri fili colorati uniscono persone e cuori di ogni età legati dalla passione per il lavoro a maglia e dalla generosità”

Cuore di Maglia veste i bambini delle Terapie Intensive di tanti ospedali italiani, ma anche in molti paesi africani, indiani, greci e tailandesi

„Se c’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo.“ Maria Montessori

Fonti:

Associazione Cuore di Maglia – I volontari dell’associazione Cuore di Maglia sparsi in tutta Italia, realizzano capi a maglia per scaldare e coccolare i bambini ricoverati in più di 90 reparti italiani di Terapia Intensiva Neonatale.

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Perchè siam donne: Quando le donne non erano autorizzate a lavorare in giardino

Jane Webb Loudon era nata nel 1807 a Birmingham in una famiglia benestante.

Perse entrambi i genitori nell’adolescenza e aveva vent’anni quando pubblicò “La Mummia”, il primo dei suoi racconti di fantascienza, probabilmente ispirato a “Frankenstein” di Mary Shelley, del 1818.

In esso, Jane ha descritto la resurrezione della mummia del faraone Cheope nel 22° secolo. Il faraone risorto viaggia in mongolfiera dall’Egitto all’Inghilterra e interferisce negli affari politici del paese. Oltre ai progressi sociali, anche le nuove scoperte tecnologiche facilitano la vita nel romanzo. Per esempio, le lettere sono consegnate da palle di cannone e in agricoltura, un aratro a vapore facilita il lavoro.

Il libro, ambientato nel XXII secolo, fu molto apprezzato da John Loudon, botanico esperto di giardinaggio, che lo recensì sul “Gardener’s Magazine”.

Quando i due si incontrarono, lui si meravigliò che fosse stata una donna a scrivere quel libro, si innamorarono, dopo pochi mesi si sposarono e ebbero una figlia. Jane scoprì allora nuovi interessi: aiutava il marito nei lavori in giardino e collaborava con lui alla stesura dei suoi libri. La botanica era per lei una materia sconosciuta, ma vi si applicò con passione e imparò i fondamentali molto velocemente.

Assistendo il marito nella realizzazione dell’ “Enciclopedia del Giardinaggio”, si rese conto che la maggior parte dei libri sull’argomento all’epoca, con i loro molti termini tecnici, erano difficilmente comprensibili ai profani, e quindi a quel tempo soprattutto alle donne. Decise allora di scrivere libri di botanica di taglio divulgativo, con un linguaggio accessibile a tutti.

Dopo “Gardening for Ladies and Companion to the Flower Garden” (1840), il suo “Botany for Ladies” (1842) ebbe un grande successo e vendette oltre 200mila copie. È a questa pubblicazione che in quegli stessi anni iniziò per la prima volta a diffondersi la passione per il giardinaggio tra le donne dell’alta società.

Seguirono altri libri, tutte opere standard di giardinaggio vittoriano.

I libri di Jane hanno ispirato le donne di tutto il paese, e il giardinaggio è diventato un hobby importante. Oltre ad acquisire le conoscenze tecniche, Jane si era formata come autodidatta come pittrice di piante e illustrava lei stessa i suoi libri . I suoi disegni di bouquet di fiori erano spesso copiati e adornavano vassoi, tavoli e paralumi.

John Loudon morì nel 1843 lasciando moglie e figlia in ristrettezze economiche. Jane poteva contare solo sul suo lavoro. Nel 1849 diresse la rivista “The Ladies’ Companion at Home and Abroad” e continuò a pubblicare altri saggi di botanica sempre illustrati da lei stessa.

I suoi lavori hanno insegnato alle donne come creare giardini armoniosi, ad occuparsi personalmente della scelta delle piante e della loro salute, in un periodo in cui questa attività non era loro autorizzata.

E non solo ad occupare il loro tempo in modo creativo ma a realizzarsi in un ambito riservato solo agli uomini.

Morì nel 1858, poco prima di compiere 52 anni. I suoi libri hanno reso il giardinaggio un hobby alla portata di tutti e tutte le inglesi e non solo.

Le opere di Jane Webb Loudon con le loro illustrazioni botaniche sono ancora oggi molto apprezzate. La National Art Library di Londra ospita molte delle sue opere.

 © Meisterdrucke

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Perchè siam donne: le maestre vetraie di Murano oltre il pregiudizio comune che il mestiere del vetraio non sia adatto alle donne

Chiara Lee Taiarol e Mariana Oliboni, hanno fondato una fornace sradicando un pregiudizio comune: che il mestiere del vetraio non sia adatto alle donne. Succede a Murano! Una delle isole più affascinanti di Venezia !

A MuranoEl Cocal Glass Studio – il nome si ispira alla figura del gabbiano, detto appunto Cocàl in veneto – è un luogo d’arte e di coraggio, una fornace fondata da due amiche, Chiara Lee Taiarol e Mariana Oliboni, che in pieno lockdown hanno deciso di concretizzare un sogno.

A unirle è la passione per il vetro e la volontà di imprimere un nuovo corso all’arte vetraria muranese, risollevandola da una crisi profonda che ha portato, negli ultimi anni, alla chiusura di moltissime fornaci. “Amo il vetro da quando, a sei anni, visitai Murano. Ricordo che dissi a mia mamma: ‘questo è il lavoro più bello del mondo, se diventasse il mio giuro che non mi lamenterei mai!’. Ma il vero incontro con il vetro l’ho avuto a 22 anni, quando iniziai a lavorare in una vetreria in Australia. Ho viaggiato poi negli Stati Uniti, a Seattle, per apprendere tecniche e accumulare esperienza, e quando sono rientrata in Italia non è stato semplice trovare lavoro, anche a causa dei pregiudizi sulle donne in questo settore. La pandemia ha poi complicato ulteriormente le cose, quindi mi sono decisa a dare il via a questo progetto”, racconta Chiara.


Insieme a lei c’è Mariana, musicista. È sua l’idea di unire vetro e musica realizzando strumenti musicali che mescolano la tradizione secolare di un territorio ricco di storia con la modernità della musica elettronica. “La figura della donna in questo campo è vista in modo particolare: a Murano è molto difficile, per le donne, entrare nella realtà della fornace, che è vista come un luogo maschile, dove si usa la forza. Noi però crediamo fermamente che niente possa impedire ad una donna di seguire la propria vocazione e riteniamo che passione e dedizione siano sufficienti a realizzare qualsiasi tipo di progetto”, spiega. “È un lavoro non semplice, presuppone una grande tolleranza al calore e anche una grande motivazione. Spesso non viene tollerata l’idea di una donna che lavora in fornace. Per noi, però, più che la forza fisica sono importanti le idee”, prosegue Chiara.


Dal cortocircuito tra le passioni di Chiara e Mariana nascono oggetti di uso comune, come vasi e bicchieri, ma anche sculture, installazioni luminose e opere che “portano un po’ di divinità nelle nostre vite” come le “Veneri Preistoriche”, una serie di statuette dalle forme sinuose che rievocano la bellezza delle antiche divinità madri.

Qui, l’importante è seguire una ricerca libera e fluida. “Il vetro è una materia viva, spiega Chiara, “e nel lavorarlo ci mettiamo un pezzo del nostro cuore. Ci piacerebbe condividere questa passione con tante giovani donne e non solo”. Oggi, insieme a Chiara e Mariana, lavora anche una giovane stagista. “Bisogna credere in quello che si fa, nella propria passione. Non importa dove si arriverà, quello che conta è il percorso”.

A Murano, una fornace di sole donne fa rinascere l’arte vetraria muranese – The Wom

La lavorazione del vetro di Murano ha il suo pregio e la sua fama nella ricercatezza e nella rarità che sono caratteristiche del procedimento stesso. Per questo motivo non può essere realizzata da semplici artigiani, ma da veri e propri maestri del settore, con una lunga tradizione alle spalle

Una lavorazione che richiede delle tecniche particolari con molti passaggi e molto complesse.

La tecnica della soffiatura è probabilmente quella che ci è più famigliare in quanto è utilizzata per produrre gran parte delle opere di Murano.

Da secoli i maestri vetrai veneziani proteggono e tramandano l’arte della lavorazione del vetro che risale addirittura alle tecniche di lavorazione del vetro di epoca romana e bizantina. Sarà poi tra il 1400 e il 1800 che l’arte di trattare il vetro tipica di Murano si svilupperà e prenderà la forma che oggi conosciamo e apprezziamo.


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Perchè siam donne: Nel III secolo a.C. per esercitare la professione di medico bisogna travestirsi da uomo…Agnodice lo ha fatto!

Tra il IV e il III secolo a.C., si racconta che, in Grecia, le donne e gli schiavi non potessero studiare medicina.

Per questo motivo, una donna di nome Agnodice decise di travestirsi con abiti maschili per poter frequentare la facoltà di medicina di Alessandria d’Egitto.

Dopo aver studiato medicina con il rinomato medico Erofilo, la donna rientrò ad Atene per esercitare la sua professione. Agnodice si era specializzata in Ostetricia e Ginecologia

A quel tempo, le donne greche erano restie a farsi visitare da uomini e spesso questo portava a complicazioni o morti premature in gravidanza. Qui entrava in gioco Agnodice e il suo travestimento. Inizialmente, le ateniesi, non fidandosi, non volevano ricevere le sue cure; una volta entrata in casa, lei si alzava la tunica, dimostrando di essere donna e ottenendo così la loro fiducia.

Quando la notizia si diffuse, sempre più donne nell’approssimarsi del parto richiedevano la presenza di Agnodice, al punto che gli altri medici della città cominciarono a indispettirsi, e denunciarono il presunto collega.

Così Agnodice fu portata dinanzi al tribunale dell’Areopago (massima autorità per i reati penali) con l’accusa di sedurre e raggirare le donne. Fu accusata di aver praticato la medicina sotto mentite spoglie (reato per il quale era prevista la pena di morte)e di esercitare illegalmente la medicina in quanto donna, 

Rivelò il suo sesso alla giuria sollevando la tunica (un gesto noto in greco antico come anasyma). L’aiuto arrivò dalle donne che Agnodice aveva assistito e aiutato che insieme a una delegazione di donne autorevoli si presentarono ai giudici e dissero: “Voi non siete mariti, ma nemici, perche condannate chi ci ha guarito!”Esse tutte insieme, circondarono il tribunale e minacciarono di uccidersi;

Non solo Agnodice fu assolta, ma le fu concesso di continuare ad esercitare l’arte medica. Ci fu anche un cambiamento della legge: le donne nate libere potevano svolgere l’attività medica, a condizione però di curare soltanto altre donne.

Generalmente non si ritiene che Agnodice sia una figura storica, ma la sua storia è stata spesso utilizzata come precedente per le donne che praticano l’ostetricia o la medicina.

In realtà il mestiere dell’ostetricia a quei tempi già esisteva e le donne lo praticavano normalmente. Le testimonianze in nostro possesso stabiliscono, del resto, che le donne già nel V secolo a.C. potessero diventare medici legalmente e a tutti gli effetti.

(Igino, “Fabulae”, e altre fonti)

il bassorilievo conservato al British Museum raffigura una scena in cui si ricorda Agnodice.

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Perchè siam donne: Billie e Serena più che campionesse

Una foto emblematica , anche se non giochiamo a tennis.

Due donne che hanno cambiato il mondo dello sport femminile superando stereotipi limitanti per tutte le donne in tutti i campi.

La prima ci ha mostrato che è possibile essere pagate quanto un uomo.

La seconda che possiamo giocare trasformando le regole che non ci prevedono.

La prima è Billie Jean King.

La donna a cui dobbiamo la nascita del tennis professionistico femminile.

Prima di lei il mondo pensava che nessuno avrebbe mai pagato un dollaro per andare a vedere una partita di tennis fra donne.

Se oggi il tennis è uno dei pochi sport in cui le donne guadagnano quanto gli uomini è perché lei ci ha creduto per prima e l’ha reso possibile.

Billie Jean King, nata 1l 22 novembre 1943), è stata una tennista statunitense. Considerata tra le migliori tenniste della storia, ha vinto in carriera 78 titoli WTA; di questi, 12 titoli singolari, 16 titoli di doppio e 11 titoli di doppio misto sono prove del Grande Slam 

È inoltre la fondatrice della Women’sTennis Association (WTA)

Accesa sostenitrice della lotta al sessismo nello sport e nella società, è ricordata per l’incontro di tennis noto come  battaglia dei sessi che nel 1973, la vide sconfiggere il tennista Bobby Riggs, vincitore del singolare a Wimbledon e numero 1 al mondo tra il 1941 e il 1947.

Il match è tuttora considerato un evento molto significativo per lo sviluppo del rispetto e del riconoscimento dato al tennis femminile. 

“Ho pensato che saremmo tornati indietro di 50 anni se non avessi vinto quella partita. Avrebbe rovinato il circuito femminile e fatto perdere l’autostima a tutte le donne”.

Seguendo la classifica stilata dal “London Daily Telegraph” alla fine di ogni anno dal 1914 al 1972, Billie Jean risultò essere prima giocatrice al mondo per tre volte: 1966, 1967 e 1968.

Billie Jean si ritirò dai tornei di singolare alla fine del 1983.

La canzone di Elton John Philadelphia Freedom è un tributo alla tennista, di cui il cantante è sempre stato grande amico

L’altra è Serena Williams la donna che ha trasformato per sempre il tennis in un palcoscenico di rivoluzioni.

Lei che ha vinto più di tutte, per più tempo di tutte, che ha guadagnato più di tutte e ha trasformato la sua carriera in qualcosa che andasse oltre la vittoria personale.

La presenza di Serena come donna nera in uno sport storicamente bianco, il suo impegno e la sua volontà di mettere a nudo le sue sfide personali hanno trasformato non solo il tennis ma anche il modo di raccontarlo.

Serena Jameka Williams. Soprannominata The Queen (La regina), è considerata una delle migliori tenniste di tutti i tempi, grazie alla sua forza fisica e mentale, ai suoi potenti colpi da fondo campo e al miglior servizio del circuito, nel corso di una carriera da professionista della durata di ventisette anni (1995-2022).

Nata nel 1981, Serena Williams inizia a giocare a tennis a quattro anni insieme alla sorella Venus, sotto la guida di papà Richard, che segue personalmente la crescita delle proprie figlie 

Serena a soli 16 anni entra nel circuito professionistico di tennis nel 1997, dando il via alla scalata della classifica mondiale nel giro di breve tempo.

I numeri di Serena: 858 vittorie in carriera

73 titoli vinti, 98 considerando i doppi;-23 slam vinti in singolare, 39 con i doppi;-97 finali disputate in singolare;-un oro olimpico in singolare (Londra 2012);-tre ori olimpici in doppio (2000, 2008, 2012);-319 settimane in vetta alla classifica mondiale;-prize money in carriera di oltre 94 milioni di dollari (la giocatrice che nella storia ha guadagnato di più nel tennis femminile);-4 volte vincitrice del Laureus Sportswoman of the Year Award;-Atleta dell’anno 2015 per Sports Illustrated

Sale sul tetto del mondo vincendo poi l’oro alle Olimpiadi di Londra 2012.

Serena Williams guadagna stima e notorietà in altri campi, cinema, tv sfilando spesso come modella (sul magazine “Sports Illustrated”) realizzando una linea di abiti sportivi personale. Abiti che, per altro, indossa anche in campo: contro l’opinione degli arbitri.

Dà l’addio al tennis giocato all’inizio del mese di settembre 2022.

Hanno rivoluzionato costume e società come nessuna giocatrice mai prima, ma soprattutto hanno insegnato alle ragazze con la racchetta venute dopo di loro ad osare, nel gioco e nella vita.

Billie Jean King – Wikipedia

Serena Williams – Wikipedia

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Perchè siam donne: L’Italia è la nazione ad avere più donne stellate al mondo.

Secondo una ricerca del Censis, in Italia a preparare abitualmente il cibo nei nuclei familiari è nel 67,4% dei casi una donna. Ma è anche vero che il 58% degli uomini cucina “spesso” o almeno “qualche volta” e, tra questi, il 42,4% nella fascia che va dai 25 ai 34 anni lo fa con entusiasmo.
L’Italia è la nazione ad avere più donne stellate al mondo. Metà delle cuoche stellate della guida Michelin sono italiane. Le nuove chef stellate del Belpaese sono brave, spesso under 40, applaudite per inventività e professionalità. Ammettono che non è facile ma esigono giustamente di essere trattate come i loro colleghi maschi. Sono dieci le chef nostrane stellate, le regine dei fornelli, premiate dalla Guida Michelin.

Prima di passare in rassegna le grandi chef nostrane, va ricordata una donna di successo come Anna Gosetti della Salda, la mantovana regina dei libri e delle riviste di ricette, la Artusi al femminile, che dal 1952 al 1981 dirige La Cucina Italiana e nel 1967 pubblica Le Ricette Regionali Italiane. Il trattato nelle sue diciassette edizioni si arricchisce di 2174 ricette, presentate con dovizia di particolari, e numerose varianti, a dimostrazione che ogni ricetta, anche quella consacrata da una tradizione secolare, può comunque essere aggiornata e adeguata ai tempi.

Nadia Santini è la prima chef italiana in assoluto a essere premiata con tre stelle, nel 1996, per il ristorante Dal Pescatore a Canneto sull’Oglio, in provincia di Mantova. Nel 2013 al concorso del periodico Restaurant “The World’s 50 Best Restaurants” viene nominata “miglior chef donna del mondo”.

Non si contano le eccellenze femminili della nostra cucina: Beatrice SegoniAnna Moroni (1939), nota soprattutto come personaggio televisivo per aver preso parte, dal 2002 al 2018, alla trasmissione La prova del cuoco, condotta da Antonella Clerici; Marta Pulini, che con una laurea in biologia in tasca si dedica a seri studi gourmet fino a diventare, con un impegno di anni e anni in Italia e all’estero, una chef di fama internazionale; Aurora Mazzucchelli, premiata nel 2008 (ristorante Marconi a Sasso Marconi); Martina Caruso, chef stellata dal 2016.

Cristina Bowerman, stella Michelin dal 2010 (Glass Hostaria, nel quartiere romano di Trastevere). Quest’ultima, una delle chef più riconoscibili d’Italia, studia lingue straniere a Bari e legge a San Francisco, prima di trasferirsi ad Austin, in Texas, per fare la graphic designer. In America studia Arti culinarie all’Università del Texas e si diploma alla prestigiosissima scuola de Le Cordon Bleu. Tornata in Italia nel 2004, due anni dopo apre Glass Hostaria a Roma. Per i primi tre anni le cose non vanno bene, i clienti, affezionati ai piatti della tradizione romana, trovano troppo moderna e avanguardista la sua idea di cucina. La vita di Cristina cambia nel 2010, quando gli ispettori della Michelin la premiano con l’agognata Stella proprio per la sua notevole audacia e originalità inventiva. Il lavoro di Cristina non si ferma in cucina: la chef è la presidente dell’Associazione italiana ambasciatori del gusto.

Iside De Cesare, romana di origine, fino a 19 anni è una studente modello, prima al liceo e poi alla facoltà di ingegneria finché un bel giorno, per caso, decide di andare ad aiutare nella cucina del ristorante della sorella. È la sua rivelazione sulla via di Damasco, la scoperta di una vocazione nascosta. Il suo localeLa Parolina, ad Acquapendente nell’alto Lazio, non lontano dai confini con Umbria e Toscana, è l’immagine della sua padrona, fine nei modi e riservata.

Marianna Vitale, chef stellata di Sud a Quarto, in provincia di Napoli, non si limita alla cucina, ma dopo aver organizzato una serie di cene nelle carceri di tutta Italia, ha deciso di aprire una scuola di formazione culinaria per i ragazzi che escono dal carcere di Nisida, per quelli che scappano dalla guerra, per quelli che non hanno una casa e per tutti coloro che hanno voglia d’imparare, di formarsi, di migliorare professionalmente. 

Martina Caruso è la più giovane cuoca stellata d’Italia e dirige la cucina dell’Hotel Signum, sull’isola di Salina, in Sicilia. Il suo ristorante è una perla in mezzo al Mar Mediterraneo, che esalta le ricette di mare. La sua cucina, giocosa, creativa, affascinante per i sapienti contrasti di sapori e consistenze, conquista con la sua particolare leggerezza.

Chiara Pavan è cuoca stellata al Venissa, un ristorante chic sul Canal Grande a Venezia, che propone piatti veneziani eleganti preparati con ingredienti locali, e ha lanciato anche Antonia Klugmann e Paola Budel, altra cuoca che ha fatto la storia della gastronomia italiana contemporanea.

“La cuoca che legge Montaigne”, come è stata soprannominata per i suoi studi in filosofia, così commenta la sua visione del rapporto tra le donne e la cucina: «Le donne lavorano ancora molto meno degli uomini, sono dati ufficiali, non lo dico io. Stiamo uscendo ora da una società in cui la donna è sempre stata vista come la madre che sta in casa. Stiamo facendo dei passi da gigante, ci stiamo evolvendo, grazie al cielo. La cucina è un luogo già duro, ci sono dinamiche particolari anche a livello di leggi statali.

Ma ancora storicamente la ristorazione è legata alla figura del cuoco maschile, così come in tanti altri lavori»

E questa è solo una piccolissima parte di un lungo elenco…..

I fiori all’occhiello della cucina italiana. Parte prima (vitaminevaganti.com)

I fiori all’occhiello della cucina italiana. Parte seconda (vitaminevaganti.com)

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Perchè siam donne: Elena Gianini Belotti per le donne e i bambini

Quello che ci siamo sentiti dire da bambini: stai fermo, muoviti, fai piano, sbrigati, non toccare, stai attento, hai fatto la cacca, mangia tutto, lavati i denti, non ti sporcare, ti sei sporcato, stai zitto, parla t’ho detto, chiedi scusa, saluta, vieni qui, non starmi sempre intorno, vai a giocare, non disturbare, non correre, non sudare, attento che cadi, te l’avevo detto che cadevi, peggio per te, non stai mai attento, non sei capace, sei troppo piccolo, ormai sei grande, vai a letto, alzati, farai tardi, copriti, non stare al sole, stai al sole, non si parla con la bocca piena.

Quello che avremmo voluto sentirci dire da bambini: ti amo, sono felice di averti, parliamo un po’ di te, troviamo un po’ di tempo per noi, come ti senti, sei triste, hai paura, perché non ne hai voglia, sei dolce, sei morbido e soffice, sei tenero, raccontami, che cosa hai provato, sei felice, mi piace quando ridi, puoi piangere se vuoi, sei scontento, cosa ti fa soffrire, che cosa ti ha fatto arrabbiare, ho fiducia in te, mi piaci, io ti piaccio, quando non ti piaccio, ti ascolto, sei innamorato, cosa ne pensi, mi piace stare con te, ho voglia di parlarti, ho voglia di ascoltarti, mi piaci come sei, è bello stare insieme.”

Perché le bambine e i bambini non possono fare le stesse cose? Perché questa differenza?
Elena Gianini Belotti si poneva queste domande sin da piccola, vivendo come una terribile ingiustizia le limitazioni dovute alla sua appartenenza al genere femminile.
Il suo nome è legato al saggio Dalla parte delle bambine che tante donne hanno letto ed apprezzato e che è stato un testo importante per le battaglie femministe.
La prima edizione vede la luce nel 1973 e né l’autrice né la casa editrice immaginavano il grande successo che il libro avrebbe riscosso.
In Dalla parte delle bambine Elena espone la sua tesi secondo la quale la differenza caratteriale tra maschi e femmine non è innata, ma è frutto dei condizionamenti culturali che si subiscono sin dai primi anni di vita: “la bambina vivace ed esuberante non rientra negli stereotipi”, si deve quindi intervenire “femminilizzando” questa sua caratteristica.

Il maschio spacca tutto è accettato, la femmina no. La sua aggressività, la sua curiosità, la sua vitalità spaventano e così vengono messe in atto tutte le tecniche possibili per indurla a modificare il suo comportamento”.

Ancora:

I movimenti del corpo, i gesti, la mimica, il pianto, il riso sono pressoché identici nei due sessi all’età di un anno o poco più mentre cominciano in seguito a diversificarsi.. a quest’età sono aggressivi maschi e femmine. […] Mentre più tardi l’aggressività del bambino continuerà ad essere diretta verso gli altri, la bambina diventerà auto aggressiva per aderire al modello che la società impone e che le vuole incanalate verso la debolezza, la passività, la civetteria”.

Nel 1960 contribuì a fondare il Centro Nascita Montessori di Roma, ossia un’associazione di volontariato che si occupa ancora oggi di ricerca e sviluppo in ambito educativo, sociale e sanitario sui neonati. Nel 1992, invece, con Dacia Maraini fondò il gruppo di scrittrici “Controparola”.

Sono passati più di quarant’anni, ma ancora oggi spesso ad una bambina è negata la possibilità di sviluppare il proprio carattere per aderire piuttosto agli stereotipi d genere.

Donne come Elena Gianini Belotti non scompaiono alla loro morte, il loro lascito è molto più di una eredità, è genealogia, è il tessuto connettivo del nostro pensiero e del nostro agire.

L’abbiamo letta e amata soprattutto con “Dalla parte delle bambine”, ma ogni suo scritto è una pietra miliare per imparare a smascherare i tranelli del patriarcato e per improntare le relazioni a una pedagogia basata sul rispetto e il riconoscimento reciproco.

La cultura alla quale apparteniamo – come ogni altra cultura – si serve di tutti i mezzi a sua disposizione per ottenere dagli individui dei due sessi il comportamento più adeguato ai valori che le preme conservare e trasmettere: fra questi anche il “mito” della “naturale” superiorità maschile contrapposta alla “naturale” inferiorità femminile. In realtà non esistono qualità “maschili” e qualità “femminili”, ma solo “qualità umane”. L’operazione da compiere dunque non è formare le bambine a immagine e somiglianza dei maschi, ma restituire a ogni individuo che nasce la possibilità di svilupparsi nel modo che gli è più congeniale, indipendentemente dal sesso cui appartiene.

In una delle sue ultime interviste è stato chiesto ad Elena cosa ne pensava delle bambine di oggi.

Oltre ad esistere ancora discriminazioni legate al genere, alle bambine di oggi viene propinato un modello di donna legato all’immagine, al corpo. Un messaggio pericoloso, subdolo, che le proietta verso un’emancipazione formale e non sostanziale. Ancora oggi le bambine hanno fortemente bisogno di qualcuno che stia dallo loro parte.

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Perchè siam donne: Beatrix nella Hill Top Farm con Peter, Nutklin, Jemina, e Jeremy nel suo mondo fantastico e non solo.

In un’epoca in cui le donne non avevano diritto di voto, né accesso all’istruzione superiore ed erano considerate proprietà dei mariti, Beatrix Potter (1866-1943) divenne una scrittrice di successo, usando i diritti d’autore dei suoi libri per acquistare una fattoria, la famosa Hill Top Farm, dove visse, amando la natura, per il resto della vita.

Nessun aspetto del genio caleidoscopico di Beatrix Potter è più affascinante del suo contributo alla scienza e alla storia naturale.

A vent’anni, aveva sviluppato un vivo interesse per la micologia e iniziò a produrre disegni incredibilmente belli dei funghi che lei stessa raccoglieva per un’attenta osservazione al microscopio.

Era attratta dalla varietà della loro forma e del loro colore e dalla sfida che ponevano alle tecniche dell’acquerello. A differenza degli insetti, delle conchiglie o anche dei fossili, i funghi garantivano anche un’incursione autunnale nei campi e nei boschi, dove Beatrix poteva andare sul suo carretto di pony “senza essere ingombrata dalla famiglia o da attrezzature pesanti”.

Come altre donne che avevano tentato di ottenere un’audizione per la loro ricerca scientifica, non fu mai ricevuta alla “Linnean Society” di Londra e le sue teorie non furono mai prese in considerazione. Sarebbero state apprezzate solo un secolo dopo.

Nel frattempo, Beatrix continuava comunque a disegnare anche per proprio piacere, migliorando sempre di più nelle tecniche più varie, dai pastelli alle tempere a olio, dagli acquerelli all’inchiostro e talvolta anche alla scultura.

Beatrix , determinata e appassionata, a 32 anni riuscì a pubblicare il suo primo libro “The Tale of Peter Rabbit”, il testo che rese celebri i suoi personaggi. Peter coniglio; Nutklin, lo scoiattolo; Jemina, la papera col cappellino e Jeremy, il ranocchio elegante, la fecero diventare una delle narratrici e illustratrici più celebri e amate di tutti i tempi.

Dal giugno del 1902 fino alla fine dell’anno il libro vende 28.000 copie. Nel 1903 pubblica un nuovo racconto, “La storia dello scoiattolo Nutkin” (The Tale of Squirrel Nutkin) che ottiene altrettanto successo.

Non considerò mai arte e scienza come due attività che dovessero rimanere separate, ma registrava ciò che vedeva in natura con dei disegni per evocare anche e soprattutto una risposta estetica.

In un panorama culturale incerto tra passato e futuro, il grande successo di Beatrix Potter come innovatrice − nella letteratura per l’infanzia e nella scienza − passa dall’uso eccellente che fece della propria immaginazione, con la quale riuscì a dare valore letterario persino ai più piccoli animali che sempre popoleranno i giardini britannici. Allo stesso tempo, invogliava i propri lettori a mettere in moto la loro, di immaginazione, per figurarsi questi animaletti vestiti con cuffiette, giacchetti e grembiulini che prendono il tè, spazzano l’uscio di casa e spesso finiscono in avventure anche un po’ rischiose.

La sua biografia è raccontata nel libro “Beatrix Potter. A Life in Nature “ di Linda Lear che descrive in dettaglio l’evoluzione creativa della protagonista, il suo sviluppo rivoluzionario come donna d’affari e imprenditrice, il suo intimo rapporto con i luoghi e con il paesaggio.

Il film “Miss Potter racconta la nascita del best seller per l’infanzia “The Tale of Peter Rabbit” e la lotta della sua autrice per l’amore, il successo e la felicità.

Per saperne di più: “Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie”, Ledizioni, 2020

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Perchè siam donne! 130 ore settimanali per Marissa dipendente perfetta

Ingegnera originaria del Wisconsin, Marissa Mayer (1975), ha realizzato software utilizzati da milioni di utenti in tutto il mondo.

Si è laureata con lode in informatica, alla Stanford University, focalizzando i suoi interessi nel campo dell’intelligenza artificiale e a 24 anni è stata assunta da Google, prima donna in posizione di esperta.

Ha scritto diversi programmi e coordinato molte attività di ricerca, diventando in breve tempo direttrice di produzione.

Ha inventato la piattaforma pubblicitaria Ads, che ha permesso agli inserzionisti di promuovere i loro annunci e all’azienda di passare dal ruolo di motore di ricerca a qualcosa di più grande e proficuo.

Ha inoltre ideato software diventati popolarissimi come Gmail, Calendar, Maps, News, Books, Search, Toolbar e iGoogle.

È stata docente di informatica all’Università di Stanford e ha ricevuto premi prestigiosi come il “Centennial Teaching.” Nel 2009 le è stata conferita una laurea honoris causa dall’Illinois Institute of Technology.

Dal 2012 al 2017 è stata amministratrice delegata di Yahoo! e, in seguito, ha fondato Sunshine un’ azienda con sede a Palo Alto, focalizzata sull’intelligenza artificiale e sui media di consumo.

Il suo primo prodotto, Sunshine Contacts, ha migliorato i contatti degli utenti iPhone e i contatti di Google.

Marissa Mayer ha dichiarato che in Google si arrivava a lavorare «130 ore a settimana». Si tratta di più di 18 ore al giorno, fine settimana compresi. Per decretare il successo di una nuova impresa, incalza infatti la manager passata dal colosso di Mountain View a quello di Sunnyvale per provare a risollevarne le sorti, è sufficiente osservarla durante il weekend. Se opera ha qualche chance di farcela. Il duro (durissimo) lavoro prima di qualsiasi cosa, quindi.

Marissa, che si è già rivelata prendendo solo due settimane di maternità dopo la nascita del primo figlio e negando il telelavoro all’interno dell’azienda , entra nel merito della ricetta del dipendente perfetto: pianificare le ore di sonno, la doccia e il numero di volte in cui si va in bagno. Dormire sul posto di lavoro è auspicabile sia di giorno sia di notte, «è più sicuro rimanere che scendere nel parcheggio e andare a prendere la macchina alle tre di notte», grazie alla nap room. La stanza del sonnellino.

«Nei primi 5 anni in Google mi sono fermata almeno una notte a settimana», spiega.

Vita privata? Molto privata ! Se non per, appunto, raccontare di aver portato il primo figlio in ufficio per quattro mesi e definire i due gemelli nati in dicembre «una vittoria alla lotteria».

Il futuro? All’orizzonte si intravede una buonuscita da 57 milioni.

Stacanovista? Arrivista? Accumulatrice ? Esibizionista? Fenomeno?

Direi passione per il proprio lavoro e grande determinazione e costanza nell’impegno e obbiettivo sempre in vista!!

Dimostrazione che queste qualità non hanno sesso!

Nell’ immaginario comune, l’informatica è considerata un mondo totalmente maschile. È importante ricordare le numerose scienziate che ne sono state protagoniste e i loro contributi perchè le ragazze non si sentano estranee.

Per approfondire: “Scienziate nel tempo. Più di 100 biografie”, Ledizioni, Milano 2020

Il successo secondo Marissa Mayer? Lavorare 130 ore a settimana – Corriere.it