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La buona notizia del venerdì: Il pistacchio ha poche calorie, fa bene e non fa ingrassare

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È come le ciliegie: una tira l’altra. Nell’immaginario comune il pistacchio è quella piccola nocciolina da aperitivo, salatissima e stuzzicante che, dopo la prima, non si riesce più a smettere di mangiarne.

Studi recenti hanno evidenziato come il consumo di frutta secca, pistacchio compreso, favorisca la prevenzione dell’obesità. Il consumo moderato di frutta secca non comporta un aumento di peso all’interno di una dieta bilanciata e consente l’apporto a livello dell’organismo di acidi grassi benefici e proteine di origine vegetale, oltre che di sali minerali, tra i quali possiamo trovare calcio, ferro e magnesio, in quantità differenti a seconda della tipologia prescelta.

Secondo una ricerca condotta nel Regno Unito in collaborazione con l’Università di Messina i pistacchi rappresentano una fonte importante di antiossidanti e di polifenoli che vengono rilasciati da parte dell’alimento nel corso della digestione .

A parere degli esperti, pistacchi e frutta secca dovrebbero essere integrati regolarmente nella dieta, per poter godere dei loro benefici.

Il pistacchio è una miniera di vitamina E e carotenoidi ,un vero e proprio elisir contro l’invecchiamento, un antiossidante efficace nella lotta ai radicali liberi. E non solo: questa vitamina serve anche per combattere l’insorgenza del tumore al polmone, come hanno dimostrato di recente i ricercatori dell’università del Texas. Gli antiossidanti dei pistacchi, poi, servono anche a mantenere il cuore in salute.

Inoltre I pistacchi rappresentano una fonte di vitamine del gruppo B grazie all’alto contenuto di acido folico, riboflavina, tiamina, niacina, acido pantotenico (o vitamina B5) e vitamina B6.

L’assunzione di pistacchi contribuisce ad innalzare i livelli di colesterolo HDL (quello buono) nel sangue, oltre a fornire fibre vegetali, acidi oleici e grassi monoinsaturi necessari al corretto funzionamento dell’organismo.

Ma se a preoccuparvi rimangono i grassi del pistacchio, sappiate che quasi il 90 per cento di quelli che contiene sono mono e polinsaturi, i grassi “buoni”.

Uno a zero, quindi, nella lotta allo snack più sano, tra pistacchi e patatine.

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La coltura del pistacchio proveniente dalla Siria (probabile origine del pistacchio), sarebbe passata in Grecia a seguito di Alessandro Magno.

In Sicilia, la coltivazione in forma diffusa si fa risalire al periodo della dominazione araba (VII e IX secolo d.C.). Sono di origine araba i termini di “frastuca” (pistacchio) e “frastucara” (albero del pistacchio), termine arabo fustuq.

In Italia fu introdotta dai Romani sul finire dell’Impero di Tiberio tra il 20 ed 30 d.C. per opera di Lucio Vitellio, Governatore della Siria.

Nell’antichità il pistacchio era considerato un efficace rimedio contro gli avvelenamenti da morso di serpente e anche un potente afrodisiaco. Per questi scopi si preparava un’emulsione dalle caratteristiche simili a quello del latte di mandorla.

Un tipo di utilizzo del tutto particolare è invece quello che viene fatta delle galle che si formano sulle foglie, indotte dalla presenza di un insetto appartenente all’ordine degli Emitteri. Note come “galle di Bakhara” nome di origine persiana, contengono elevate quantità di tannini e sono perciò adoperate nella concia delle pelli, seppur in misura assai limitata.

La produzione del pistacchio un tempo ben distribuita nelle provincie di Caltanissetta, Agrigento e Catania, oggi pur sussistendo in altre aree, ha trovato in Bronte la sua capitale.

I terreni di origine vulcanica, i venti dominanti, l’umidità, il terebinto (Pistacia Terebinthus) antropizzato in tale area, conferiscono al pistacchio particolari caratteristiche di qualità (colore verde intenso, forma allungata e sapore aromatico), difficilmente riscontrabili in altre aree di produzione e nello stesso massiccio Etneo.

E non è finita: i pistacchi sono anche una buona fonte di fibre e rispetto a molta frutta, ne forniscono addirittura di più. Certo, come sempre, la regola è la moderazione: per ogni 100 grammi di questo frutto secco si assumono circa 600 calorie.

Un consiglio dagli esperti per evitare di mangiarne comunque davvero troppi? Scegliete la varietà con il guscio: secondo lo studio della Eastern Illinois University, chi lo fa ne mangia il 50 per cento in meno, e si sente lo stesso soddisfatto.

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( per me è un’ottima notizia perché mi piacciono molto)

Fonti:

http://thatsgoodnewsblog.com/2014/07/14/il-pistacchio-ha-poche-calorie-fa-bene-e-non-fa-ingrassare/#more-4248

http://www.greenme.it/mangiare/altri-alimenti/9784-pistacchi-benefici

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Festa della mamma…

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Mi piacciono le celebrazioni che richiamano l’attenzione… tutti i giorni!

Mamma è una parola impegnativa che ha infinite sfumature e basta pronunciarla per suscitare grandi emozioni nel sentire universale.

Quando ero piccola coccolavo molto la mia cagnolina che pensavo che le mancava la mamma…E le mormoravo dolci parole e lei si raggomitolava soffice vicina vicina.

Pensavo chissà come chiamano la mamma i cagnolini e anche gli altri animali , che tutti hanno una mamma. Che coccola e insegna.

Oggi voglio rivolgere amore e riconoscenza non solo a tutte le mamme ma a tutte le donne negli infiniti ruoli che svolgono in ogni parte del mondo.

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La festa della mamma è una ricorrenza civile diffusa in tutto il mondo. In Italia come negli Stati Uniti si festeggia la seconda domenica di maggio.

Costituisce una festa molto antica, legata al culto delle divinità della fertilità degli antichi popoli politeisti, che veniva celebrato proprio nel periodo dell’anno in cui il passaggio della natura dal freddo e statico inverno al pieno dell’estate dei profumi e dei colori (e della prosperità nelle antiche civiltà contadine) era più evidente.

Nell’antica Grecia gli Elleni dedicavano alla madre un giorno dell’anno: la festa coincideva con le celebrazioni in onore della dea Rea, la madre di tutti gli Dei.

Gli antichi romani, invece, festeggiavano una settimana intera la divinità Cibele, simbolo della Natura e di tutte le madri.

In Inghilterra le celebrazioni legate alla festa della mamma risalgono al XVII secolo.

Originariamente il “Mother’s Day” non era un’occasione per festeggiare la propria madre con fiori o regali, ma assumeva un significato completamente diverso coincidendo con la quarta domenica di Quaresima. In quell’occasione, tutti i bambini che vivevano lontano dalle loro famiglie potevano ritornare a casa per un giorno. A poco a poco si è diffusa la tradizione di riunirsi a metà del periodo di Quaresima per festeggiare la propria famiglia e soprattutto la mamma, considerata un elemento fondamentale della famiglia.

La tradizione del “Mothering Sunday” sopravvive ancora oggi in Inghilterra,

 

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Negli Stati Uniti nel maggio 1870, Julia Ward Howe, attivista pacifista e abolizionista (della schiavitù), propose di fatto l’istituzione del Mother’s Day (Giorno della madre), come momento di riflessione contro la guerra.

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Nello stesso anno negli Stati Uniti ci fu la proposta di Anna M. Jarvis. Anna era molto legata alla madre, un’insegnante della Andrews Methodist Church di Grafton,nel West Virginia.

Dopo la morte della madre, Anna si impegnò inviando lettere a ministri e membri del congresso affinché venisse celebrata una festa nazionale dedicata a tutte le mamme. Questa festa doveva rappresentare un segno d’affetto di tutti nei confronti della propria madre mentre questa era ancora viva.
Grazie alla sua tenacia e determinazione, la prima festa della mamma fu celebrata a Grafton e l’anno dopo a Filadelfia: era il 10 maggio 1908.
Anna Jarvis scelse come simbolo di questa festa il garofano, fiore preferito dalla madre: rosso per le mamme in vita, bianco per le mamme scomparse.

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Fu ufficializzata nel 1914 dal presidente Woodrow Wilson e sua moglie Ellen Louise con la delibera del Congresso di festeggiarla la seconda domenica di maggio.

La festa si è diffusa in molti Paesi del mondo, ma cambiano le date in cui è festeggiata.

In Italia è stata introdotta per la prima volta negli anni cinquanta da Raul Zaccari, senatore e sindaco di Bordighera (la cui idea maturò insieme a Giacomo Pallanca, presidente dell’Ente Fiera del Fiore e della Pianta Ornamentale di Bordighera-Vallecrosia), su iniziativa del quale venne celebrata a Bordighera la seconda domenica di maggio del 1956 (al Teatro Zeni e successivamente al Palazzo del Parco).

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In Norvegia viene celebrata la seconda domenica di febbraio , in Argentina la seconda di ottobre ; in Francia la festa della mamma cade l’ultima domenica di maggio ed è celebrata come compleanno della famiglia.

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In molti Paesi la ricorrenza è stata imitata dalla civiltà occidentale: in Africa, ad esempio, alcuni Stati istituirono la festa della mamma ispirandosi al concetto britannico della stessa.

In generale i simboli di questa festa sono il rosso, il cuore e la rosa, che più di ogni altro fiore rappresenta l’amore e la bellezza e sa testimoniare l’affetto e la riconoscenza dei figli.

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Fonte: Wikipedia

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Buon Beltane! Buon Calendimaggio! Buona Festa della Natura!

Mi piace onorare i cicli della natura che si ripetono di stagione in stagione.

Mi piace il senso di continuità che mi da la sicurezza che la Vita è da sempre e per sempre. Comunque e dovunque.

Tra tutti i colori che si illuminano della Luce ormai trionfante ,quest’anno mi colpisce il viola e l’arancione. Chissà! Ogni volta in fondo è tutto uguale ma diverso.

Anche io ogni volta mi sento uguale ma diversa!

Con la voglia e l’entusiasmo di andare avanti con felice curiosità!

Così oggi al vivaio ho scelto con il cuore: gerani arancioni e campanelle viola!

Anche tu scegli i tuoi colori delle tue prossime scelte! Con il cuore eh!

foto di Laurin

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In nome della Madre Terra


Quando dico “Terra” mi balza agli occhi un vortice di colori, profumi, suoni ..come un’orchestra viva e palpitante che mi riempie dentro e mi fa sentire di appartenere a qualcosa di molto più grande, che mi tiene in vita e nutre non solo il mio corpo ma soprattutto il mio cuore.

Molti sono i nomi dati alla Terra , ogni nome rappresenta una cosmovisione, un modo con il quale una tribù, un gruppo, un popolo parla del suo territorio e rispecchia il rapporto che ha con la Madre Natura.
Una delle più antiche leggende è quella che ci conduce alla cosmogonia greca.
Gaia è una metafora che allude alla divinità greca Gea.
Dopo il Caos, che significa “essere aperto” ed è un modo di chiamare l’enigma o abisso primordiale, appaiono Gea – la Terra – e l’Amore.
In seguito arriva Urano – il Cielo -.
Così i nostri antenati, chiamarono gli elementi primigeni, precedenti agli dei olimpici ed a tutti gli esseri che in seguito popolarono la Terra.
Gea è una divinità primitiva: rappresenta l’origine dell’umanità e le viscere attive della Terra che generarono trasformazioni terrificanti.
Si accoppia con Urano-Cielo, e genera molti figli:
“e man mano che i suoi figli nascevano
Cielo li tratteneva occulti profondamente nel ventre
della Terra
privandoli della luce
e vantandosi di questo”

I figli, istigati dalla madre, si difendono e attaccano il padre.
Così accadono tragedie alimentate dai rancori tra Gea ed Urano, all’epoca della formazione delle montagne e dei mari.
La Terra, attiva e vitale nell’antica simbologia, si protegge: “già che Urano stancava la Terra con la sua prodigiosa fertilità. Si direbbe quasi che i greci ebbero un ricordo delle remote epoche geologiche nelle quali la terra produceva degli strani mostri”.

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Buona Pasqua! Buona Vita!

Uova di cioccolato fondente, conigli di cioccolato al latte, campanelle di cioccolato alla nocciola, pecorine di zucchero, colombe con mandorle e non… che delizia!

C’è sicuramente posto per i miei auguri di tanti arcobaleni, un colore per ogni sogno che certamente si realizzerà.

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E’ la festa delle uova e non solo si mangiano…

Chi non ha prima o poi decorato le uova da mettere sulla tavola di Pasqua e ottenere ovazioni da parenti e amici. Era un anticipo di festa! La fantasia era obbligatoria e la gara era scontata! Intorno al tavolo della cucina, sui banchi in classe, dalla nonna che metteva a disposizione la sua scatola di perline…L’atmosfera si faceva subito calda e l’entusiasmo saliva di minuto in minuto, gli occhi brillavano e i colori erano arcobaleni ! Non solo pennelli, pennarelli … anche lustrini, fettucce di seta morbida, perline,collage…Chi cantava, chi suggeriva idee, e che grande soddisfazione ad opera finita!

Le Uova Fabergé sono gioielli.

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La ricca tradizione dell’uovo decorato, anticamente simbolo di sacralità, della vita in sé, ma anche dell’avvento della stagione primaverile, è originariamente dovuta all’orafo Peter Carl Fabergé, presso la corte dello zar di tutte le Russie. nel 1885.
L’uovo fu commissionato dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di Pasqua per la moglie Maria Fyodorovna.
L’uovo, di colore bianco con smalto opaco, aveva una struttura a scatole cinesi o a matrioske russe: all’interno vi era un tuorlo tutto d’oro, contenente a sua volta una gallinella colorata d’oro e smalti con gli occhi di rubino. Quest’ultima racchiudeva una copia in miniatura della corona imperiale contenente un piccolo rubino a forma d’uovo.
La zarina fu così contenta di questo regalo che Fabergé fu nominato da Alessandro “gioielliere di corte”, e fu incaricato di fare un regalo di Pasqua ogni anno da quel momento in poi, con la condizione che ogni uovo doveva essere unico e doveva contenere una sorpresa.
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Diverse biografie ricordano Fabergé come un uomo molto spiritoso, attento allo stile e ai vestiti che indossava, a volte un po’ frenetico. Viaggiava sempre senza valigia (comprava tutto il necessario sul posto) e aveva dei preoccupanti e frequenti vuoti di memoria.
Il 1882 fu un anno decisivo per Fabergé. Quell’anno, infatti, i suoi lavori vennero apprezzati moltissimo dallo zar durante una mostra “Pan-russa” e sempre lo zar decise che dovevano essere ufficialmente riconosciuti come esempio di eccellenza nell’arte.
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Fra il 1885 e il 1917 furono realizzate ben 57 di queste uova di Pasqua in oro, preziosi e materiali pregiati, ogni anno all’approssimarsi della festività. Questa tradizione continuò fino alla Rivoluzione d’Ottobre, quando le uova di Fabergè erano già famose in molte parti d’Europa.

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Le uova realizzate dalla gioielleria di San Pietroburgo, la Casa di Fabergé, potevano essere di varia grandezza: c’erano quelle piccole, da appendere magari a una catenina al collo, e ce n’erano anche di molto più grandi, anche della grandezza di un uovo di Pasqua, che sono poi quelle più famose e che vengono chiamate “imperiali” perché ideate nel 1885 su commissione dell’allora zar di Russia Alessandro III.
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La preparazione delle uova occupava un intero anno: una volta che un progetto veniva scelto, una squadra di artigiani lavorava per montare l’uovo.
I temi e l’aspetto delle uova variavano ampiamente. Per esempio, sulla parte esterna, l’uovo del 1900 (dedicato alla costruzione della Transiberiana) era decorato da una fascia grigia metallica con inciso il programma dell’itinerario della ferrovia, ma all’interno aveva un intero treno molto piccolo in oro.
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Un uovo di Fabergé è protagonista del film Agente 007 – Octopussy – Operazione piovra, il 13esimo film della saga di James Bond, diretto da John Glen e con Roger Moore.
All’inizio del film l’agente segreto James Bond e il principe afghano Kamal Khan si contendono proprio un uovo di Fabergé, con Bond che riesce a gabbare il principe scambiando l’uovo vero con uno falso.

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                                        Tanto per ispirarsi eh!

Fonti.

http://www.lettera43.it

http://www.thecultureconcept.com

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Uffa l’8 marzo!

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Mi piacciono le mimose.

Il loro colore giallo dorato e luminoso è l’annuncio della primavera
Non mi piacciono le celebrazioni che accontentano la coscienza di chi di coscienza ne ha poca.

Mi piacciono le mimose.

Il giallo dorato si accende al primo calore del sole di stagione.
Non mi piace che si divida l’umanità in categorie.

Mi piacciono le mimose.

Spontaneamente offrono il loro profumo inebriante.
Non mi piace che si creino delle categorie incasellate per sempre  in un luogo senza sfumature.

Mi piacciono le mimose.

I fiori sono soffici, impalpabili eppure consistenti.
Non mi piace che si voglia ricordarmi chi sono e cosa faccio solo un giorno all’anno.

Mi piacciono le mimose.

Mi piacciono tutti i fiori e i loro colori, mi piace la natura che spontaneamente offre colori e profumi da sempre e per sempre.

Mi piace credere che l’umanità intera, pur con le sue diversità,

cammini insieme in armonia
per costruire  il futuro.

Ieri, oggi e domani.

opera di Oscar-Claude Monet (1840-1926)

Leggi anche:” non solo mimose”

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Perchè siam donne: Alla Casa delle Streghe per sentirsi sempre giovani

Vivere a lungo è una buona cosa, ma invecchiare bene è meglio”

~ Thérèse Clerc

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Si chiamano “streghe”, sì, perchè BabaYaga nel folklore slavo significa proprio questo, ma di streghe hanno solo il nome, sono un gruppo di circa 20 anziane ma dinamiche femministe che hanno preso in mano la propria vita e hanno dato il via ad un progetto di housing sociale autogestito.

La BabaYaga House francese è stata fondata da Thérèse ClercLei ha ricevuto da otto diverse fonti pubbliche, tra cui il consiglio comunale di Montreuil, 4milioni di euro.

Sorta nel sobborgo parigino di Montreuil, proprio a due passi dalla metropolitana, negozi e cinema, permette alle anziane signore di mantenere la loro indipendenza e di sostenersi a vicenda; il governo ha stanziato questi soldi perchè pensa di recuperare l’investimento in una riduzione dei costi relativi alla salute delle donne.

Il sogno di Thérèse Clerc è iniziato nella metà degli anni ’60, le visite a residenze statali degli anziani la convinsero che non poteva sopportare di trascorrere così la sua vecchiaia. Così lei e il suo gruppo di amiche femministe ha iniziato un’attività di lobbying per una alternativa.

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Come spiega Thérèse Clerc, l’idea ha avuto origine in ragioni personali:

Mia madre è stata costretta a letto per 5 anni e io non voglio che i miei figli passino attraverso questo. Considerando i rischi di essere curati a casa o di essere da soli, mi sono detta perché non vivere con gli amici? Dopo tutto, avevo imparato l’autogestione. Lo statuto dell’associazione è stato registrato nel 1999. Le cose stavano andando a rilento poi l’ondata di caldo del 2003 e un articolo su Le Monde hanno attirato l’attenzione al nostro nuovo progetto”.

Invecchiamento lento? Perché no! Vogliamo scambiare idee, prendere ciò che è meglio là fuori. “

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E mentre alcune Babayagas vorrebbero che loro casa sia solo per donne, Doré, crede che sia giusto che la struttura sia destinata a evolversi.

Il loro scopo è quello di vivere in una situazione dignitosa a prezzi accessibili (pagano circa 420 euro), circondate da persone con le quali si è compatibili e sulle quali sanno di poter contare.

I residenti vengono selezionati anche in relazione a quello che potrebbero dare alla “comunità” e la misura in cui condividono la filosofia Babayaga.

Due progetti analoghi sono in corso in Palaiseau e Bagneux, e altre autorità locali sono interessati a seguire l’esempio di Montreuil, dopo tutto, un quarto della popolazione francese (17 milioni), sono attualmente persone di oltre 60 anni di età, ed entro il 2050 aumenterà ad un terzo.

Esistono altre opzioni, come ad esempio il Abbeyfield Case, che si trova in paesi di tutto il mondo. Alcuni sono ancora in fase di progettazione, come la Casa di Baba Yaga a Toronto e l’idea di Janet Torge di radicali Resthomes.

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Questo è un nuovo modo di pensare alla vita degli anziani, dove possono condividere, aiutarsi, sentirsi ancora utili e giovani.

Dovrebbero nascere più “case delle streghe”, chissà se un progetto simile potrà prendere piede anche in Italia.

http://www.eticamente.net/44453/babayaga-house-la-casa-delle-streghe-per-invecchiare-insieme.html

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Cosa sarà…oh, cosa sarà…

Jimmy Lawlor - Tutt'Art@ (11)

cosa sara’
che fa crescere gli alberi la felicita’
che fa morire a vent’anni
anche se vivi fino a cento


cosa sara’

a far muovere il vento
a fermare un poeta ubriaco
a dare la morte per un pezzo di pane
o un bacio non dato


oh cosa sara’

che ti svegli al mattino e sei serio
che ti fa morire ridendo di notte
all’ombra di un desiderio


oh cosa sara’

che ti spinge a domare una
donna bassina perduta
la bottiglia che ti ubriaca
anche se non l’hai bevuta

cosa sara’
che ti spinge a picchiare il tuo re
che ti porta a cercare il giusto
dove giustizia non c’e’

cosa sara’
che ti spinge a comprare di
tutto anche se è di niente che hai bisogno

cosa sara’
che ti strappa dal sogno


oh cosa sara’
che ti fa uscire di tasca dei
no non ci sto ti getta nel mare
ti viene a salvare


oh cosa sara’
che dobbiamo cercare
che dobbiamo cercare

cosa sara’

che ci fa lasciare
la bicicletta sul muro
e camminare la sera con un amico
a parla del futuro


cosa sara’

questo strano coraggio
paura che ci prende
che ci porta a ascoltare
la notte che scende


oh cosa sara’

quell’uomo e il suo cuore benedetto
che e’ sceso dalle scarpe e dal letto
si e’ sentito solo
e’ come un uccello che in volo
e’ come un uccello che in volo
si ferma e guarda giu’

Lucio Dalla

http://youtu.be/UNlS7qfMDl4

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Cosa c’entra il vischio…

Dal solstizio invernale in poi le giornate si allungano e il Sole “nasce”.
La parola Natale indica infatti “il giorno della nascita”.
Ci troviamo nel momento dell’anno più sacro e spirituale, tanto che la medicina solstiziale pone l’attenzione sulla cura dell’anima e sulle possibilità di vivere serenamente tutto l’anno.Alle piante che sfidando il freddo invernale veniva concesso di restare verdi e di fruttificare, sono state assegnate molteplici valenze: terapeutiche, propiziatorie, apotropaiche.
Tra queste, i Celti avevano eletto la pianta del Vischio, quale vegetale simbolico del solstizio d’inverno.
Il Vischio era una delle piante più preziose dell’erboristeria celtica tanto da essere ritenuto quasi un animale e da venire associato alla vita di un re o di un capo.
I druidi sceglievano accuratamente i modi ed i tempi per raccoglierlo.
Era la pianta dedicata alla festa di Imbolc e veniva tagliato dall’albero che lo ospitava durante una cerimonia di Yule o Alban Arthan.
Proprio in questo giorno, il più corto dell’anno, il sole ricomincia a crescere e la luce che irraggia la terra, fecondandola di vita, aumenta gradualmente fino a rinnovare il risveglio primaverile.
I Celti credevano che il ciclo vitale del Vischio si sviluppasse su tre elementi: un soggetto che trapassa la morte rappresentato dal Vischio, un messaggero della vita cioè l’uccello trasportatore, e l’interazione divina che dava il potere di nascere e di crescere.
Rappresenta la sopravvivenza dell’anima dopo la morte, il suo lavoro per preparare la Vita Futura, e tende verso la luce fino al rinnovamento primaverile che esprime la rinascita sulla terra.
Venerando il vischio colto in un giorno di cerimonie è l’Anima immortale che i druidi veneravano.

Secondo la tradizione celtica fu RAMA a scoprire le proprietà terapeutiche del vischio: questo giovane druido, addormentandosi sotto un albero di quercia ebbe in sogno la rivelazione del modo in cui avrebbe potuto vincere una grave epidemia, usando proprio il vischio.
Svegliatosi preparò un infuso a base di vischio che cresceva sulla quercia e riuscì a salvare il suo popolo.
Plinio il Vecchio riferisce che il vischio venerato dai Celti era quello che cresceva sulla quercia, considerato l’albero del dio dei cieli e della folgore perché su di esso cadevano spesso i fulmini.
Si credeva che la pianticella cadesse dal cielo insieme ai lampi.
Questa congettura – scrive il Frazer nel suo “Ramo d’oro” – è confermata dal nome di “scopa del fulmine” che viene dato al vischio nel cantone svizzero di Argau. Perchè gli ignoranti credono realmente che questi organismi parassitici siano un prodotto del fulmine”.
Tagliando dunque il vischio con i mistici riti ci si procura tutte le proprietà magiche del fulmine.
Secondo Plinio e altri storici, il Vischio della Quercia, quello appunto ‘quercino’, giallognolo, considerato Sacro, veniva tagliato dalla Quercia solo in caso di epidemie gravi, ed era considerato l’erba che ‘guariva tutti i mali’.
Pare che proprio il suo nome, in lingua celtica, avesse questo significato.

Il vischio di rovere, colto solennemente nel sesto giorno della luna da un druido vestito di bianco, con l’aiuto di una roncola d’oro, è tradizionalmente considerato una “ pianta animale” dell’antica Luna. Effettivamente la sua crescita nelle spazio e nel tempo sfugge all’attrazione della Terra minerale alla quale obbediscono tutte le altre piante.
Rudolf Steiner ha indicato come utilizzare le forze astrali più potenti del vischio.
Questo preparato è chiamato Iscador.
L’Iscador è conosciuto anche sotto il nome di Viscum Album Fermentato: e oggi è un efficace medicamento prescritto dalla Medicina Antroposofica come anticancerogeno.Non solo presso i popoli nordici però ottenne grande importanza.
Il Vischio nell Eneide di Virgilio apre le porte degli Inferi a Enea.
Alla vista del ramo dorato di Vischio (prende infatti il colore d’oro, una volta seccato) infatti il nocchiero del fiume infernale Stige si convince a traghettare l’eroe nel regno dei morti, per permettergli di rivedere il padre Anchise.
Probabilmente anche presso questi popoli era considerato pianta sacra, ‘emanazione divina’, essendo considerata persino ‘illuminante’ anche al buio, tanto da poter aiutare Enea nel oscurità degli Inferi.
Le leggende che considerano il vischio strettamente connesso al cielo e alla guarigione di tutti i mali si ritrovano anche in altre civiltà del mondo come ad esempio presso gli Ainu giapponesi o presso i Valo, una popolazione africana.
Inoltre queste usanze, continuarono (specie in Francia) anche dopo la cristianizzazione.
La natura del vischio, la sua nascita dal cielo e il suo legame con i solstizi non potevano infatti non ispirare ai cristiani il simbolo del Cristo, luce del mondo, nato in modo misterioso.
“Come il vischio è ospite di un albero, così il Cristo – scrive Alfredo Catabiani nel suo “Florario” – è ospite dell’umanità, un albero che non lo generò nello stesso modo con cui genera gli uomini”.
L’usanza di appendere un ramo di vischio all’uscio di casa nasce quindi nel Nord Europa.
Nella mitologia scandinava, il vischio è anche la pianta sacra di Frigg, dea dell’amore.
Dopo che suo figlio Balder venne ucciso da una freccia di vischio, Frigg cominciò a piangere sul suo corpo, e mentre le sue lacrime si trasformavano nelle perle bianche del vischio, Balder tornò in vità.
Per la felicità, Frigg cominciò a baciare chiunque passasse sotto l’albero sul quale cresce il vischio (di solito querce, pioppi, olmi e tigli), facendo sì che non potesse capitare mai nulla di male a tutti coloro che si fossero dati un bacio sotto un ramoscello di vischio.
E’ ben augurale per l’anno che viene, averne un ramoscello nelle case.
Il ceppo messo ad ardere nel camino
(per chi lo ha) non deve ardere del tutto.
Un pezzetto di questo legno deve essere conservato per accendere il nuovo ceppo di yule festività del prossimo anno.
Si brinda al Sole con del succo d’arancia, frutto solare.
FONTI
ffz.leonardo.it/lofi/Erbe-
ontanomagico.altervista.org
il calderone magico
druidsvischio.jpg
http://www.ilcerchiodellaluna.it/