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E’ la festa delle uova e non solo si mangiano…

Chi non ha prima o poi decorato le uova da mettere sulla tavola di Pasqua e ottenere ovazioni da parenti e amici. Era un anticipo di festa! La fantasia era obbligatoria e la gara era scontata! Intorno al tavolo della cucina, sui banchi in classe, dalla nonna che metteva a disposizione la sua scatola di perline…L’atmosfera si faceva subito calda e l’entusiasmo saliva di minuto in minuto, gli occhi brillavano e i colori erano arcobaleni ! Non solo pennelli, pennarelli … anche lustrini, fettucce di seta morbida, perline,collage…Chi cantava, chi suggeriva idee, e che grande soddisfazione ad opera finita!

Le Uova Fabergé sono gioielli.

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La ricca tradizione dell’uovo decorato, anticamente simbolo di sacralità, della vita in sé, ma anche dell’avvento della stagione primaverile, è originariamente dovuta all’orafo Peter Carl Fabergé, presso la corte dello zar di tutte le Russie. nel 1885.
L’uovo fu commissionato dallo zar Alessandro III di Russia, come sorpresa di Pasqua per la moglie Maria Fyodorovna.
L’uovo, di colore bianco con smalto opaco, aveva una struttura a scatole cinesi o a matrioske russe: all’interno vi era un tuorlo tutto d’oro, contenente a sua volta una gallinella colorata d’oro e smalti con gli occhi di rubino. Quest’ultima racchiudeva una copia in miniatura della corona imperiale contenente un piccolo rubino a forma d’uovo.
La zarina fu così contenta di questo regalo che Fabergé fu nominato da Alessandro “gioielliere di corte”, e fu incaricato di fare un regalo di Pasqua ogni anno da quel momento in poi, con la condizione che ogni uovo doveva essere unico e doveva contenere una sorpresa.
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Diverse biografie ricordano Fabergé come un uomo molto spiritoso, attento allo stile e ai vestiti che indossava, a volte un po’ frenetico. Viaggiava sempre senza valigia (comprava tutto il necessario sul posto) e aveva dei preoccupanti e frequenti vuoti di memoria.
Il 1882 fu un anno decisivo per Fabergé. Quell’anno, infatti, i suoi lavori vennero apprezzati moltissimo dallo zar durante una mostra “Pan-russa” e sempre lo zar decise che dovevano essere ufficialmente riconosciuti come esempio di eccellenza nell’arte.
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Fra il 1885 e il 1917 furono realizzate ben 57 di queste uova di Pasqua in oro, preziosi e materiali pregiati, ogni anno all’approssimarsi della festività. Questa tradizione continuò fino alla Rivoluzione d’Ottobre, quando le uova di Fabergè erano già famose in molte parti d’Europa.

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Le uova realizzate dalla gioielleria di San Pietroburgo, la Casa di Fabergé, potevano essere di varia grandezza: c’erano quelle piccole, da appendere magari a una catenina al collo, e ce n’erano anche di molto più grandi, anche della grandezza di un uovo di Pasqua, che sono poi quelle più famose e che vengono chiamate “imperiali” perché ideate nel 1885 su commissione dell’allora zar di Russia Alessandro III.
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La preparazione delle uova occupava un intero anno: una volta che un progetto veniva scelto, una squadra di artigiani lavorava per montare l’uovo.
I temi e l’aspetto delle uova variavano ampiamente. Per esempio, sulla parte esterna, l’uovo del 1900 (dedicato alla costruzione della Transiberiana) era decorato da una fascia grigia metallica con inciso il programma dell’itinerario della ferrovia, ma all’interno aveva un intero treno molto piccolo in oro.
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Un uovo di Fabergé è protagonista del film Agente 007 – Octopussy – Operazione piovra, il 13esimo film della saga di James Bond, diretto da John Glen e con Roger Moore.
All’inizio del film l’agente segreto James Bond e il principe afghano Kamal Khan si contendono proprio un uovo di Fabergé, con Bond che riesce a gabbare il principe scambiando l’uovo vero con uno falso.

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                                        Tanto per ispirarsi eh!

Fonti.

http://www.lettera43.it

http://www.thecultureconcept.com

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O Valentino vestito di nuovo…Biancospino!

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Per me

“O Valentino vestito di nuovo come le brocche dei biancospini”

Valentino= Biancospino

e subito mi sento immersa in un mare di fiorellini bianchi nel giardino di mia nonna.

Cespugli molto più alti di me bambina con rami che cantano alla brezza dell’annunciata primavera.

Musica di insetti che portano i pollini per creare nuova vita.

Per me Valentino = Biancospino

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Il “Crataegus oxvacantha” per chiamarlo col suo nome scientifico, più noto come: spina santa, pruno aguzzo o ruga bianca, appartiene alla famiglia delle Rosacee ed è un arbusto che cresce un po’ ovunque nei luoghi incolti, sulle scarpate, tra i cespugli, dalle rive dei fiumi fino alle pendici montuose.

I biancospini sono eccellenti alberi da siepe ed ornamentali i cui frutti, o pomi, vengono divorati dagli uccelli e i cui semi vengono poi diffusi con i loro escrementi.
Forse era un’usanza celtica, perché molto diffusa in Francia ed in Inghilterra, dove si riteneva che le barriere di rose selvatiche e di biancospino fossero un accesso segreto per l’altro mondo.

Poiché tuttavia i Celti non hanno lasciato testimonianze scritte, dobbiamo indovinare dalle contemporanee usanze greche e romane l’effettivo valore sacrale della pianta, che era considerata protettrice delle soglie e delle nozze. In caso di contaminazioni si accendevano torce di biancospino per purificare l’aria.

Molto significativa comunque è la leggenda inglese secondo la quale Giuseppe d’Arimatea, il membro del Sinedrio che aveva cercato d’opporsi alla condanna di Gesù e dopo la sua morte ne aveva raccolto il sangue nella famosa coppa, avesse piantato il suo bastone da viaggio a Glastonbury ed immediatamente ne fosse miracolosamente fiorito un biancospino.

Inutile ricordare che il luogo sorgeva in prossimità dell’antica “Avalon”,  il più importante centro di tradizioni medioevali, dove si diceva fosse sepolto Artù. Inspiegabilmente la pianta fioriva alla vigilia di Natale ed il giorno seguente un ramo veniva solennemente offerto in dono al re ed alla regina d’Inghilterra. L’usanza fu benignamente tollerata dalla Chiesa cattolica per più di mille anni.

Il biancospino è l’albero sovrano contro l’inferno ed i suoi accoliti. Le sue spine hanno funzioni protettive contro le negatività. Esso è considerato anche l’albero del maggio e della purezza e verginità. Secondo una leggenda celtica, addormentandosi sotto un biancospino nel primo giorno di maggio si corre il rischio di essere rapiti dalle fate.

Venne assunto ai tempi della rivoluzione francese come “albero della libertà”; tra il 1789 ed il 1792 in Francia ne furono piantati più di 60.000.

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Il Biancospino, noto anche come l’Albero delle Streghe, fa parte di una triade di alberi che si dice siano sacri alle Fate: Quercia, Frassino e Rovo, che, quando crescono insieme naturalmente, creano un luogo in cui è facile vedere le Fate.
Una volta si credeva che il Biancospino fosse il corpo trasformato di una strega che si era mutata nella forma di un albero. In realtà è più probabile che gli spiriti visti nel biancospino non fossero streghe mutaforme, ma Driadi o Fate degli alberi.
L’albero o il cespuglio di biancospino fatato ci ricorda la presenza delle Fate che vivono nelle vicinanze. Il biancospino fatato è sacro ed inviolabile, poiché segna i territori delle Fate, ed il terreno circostante è benedetto dalla sua presenza.
La saggezza popolare ci informa che è pura follia tagliare o danneggiare un biancospino, soprattutto se si tratta di un albero solitario che cresce in uno spazio aperto e segna il confine tra vicini, nei pressi di un pozzo sacro, di un cerchio delle fate o di una casa: abbattere un biancospino porta calamità e disgrazie, in quanto significa disonorare o non rispettare i territori delle Fate che vivono vicino a noi.
Onorando il sacro biancospino, gli abitanti del Mondo di Mezzo acquisiscono la capacità di curare e proteggere la santità di ogni aspetto della vita e, in questo modo, divengono più saggi. I giardini delle Sacerdotesse dell’Antica Religione contenevano almeno un cespuglio di Biancospino.
I Greci si servivano dei rami fioriti per adornare gli altari durante le cerimonie nuziali.

Usi magici del Biancospino:

I romani avevano dedicato questa pianta alla dea Flora che regnava sul mese di Maggio, il mese delle purificazioni e della castità, simboleggiata dal bianco dei fiori, ed era usata per decorare i Pali di Maggio, per accrescere la fertilità ed al medesimo scopo viene ancora oggi usata nei matrimoni, specie in Primavera. 

Utilizzata anche per scacciare il malocchio e la sfortuna, usavano adornare le culle dei neonati con piccoli rami fioriti per proteggerli dagli incantesimi.I pescatori lo portano con sé in un sacchettino di stoffa per assicurarsi un’abbondante pesca.

Indossato, ridona felicità in caso di tristezza o depressione.


Piantato in un vaso o nel giardino di casa, protegge dai fulmini e dagli spiriti malvagi e preserva le case dai danni derivanti dalle tempeste.

Personalità dei nati sotto il segno del Biancospino

Temperamento creativo, mobile, rapido, un po’ infantile. Più che del compagno si innamora dell’amore ma, troppo volubile e curioso per fermarsi a lungo, si lascia sedurre per poi fuggire in cerca di un altro fiore.

Fonti:

https://giardinodellefate.wordpress.com/fate/le-fate-e-la-natura/

http://www.studioemys.it/Pavia.html

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1 Febbraio : Imbolc, la festa della Luce Crescente, Brigit e la Candelora

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La festa della luce crescente.
Con Imbolc si festeggia il ritorno
della Luce  della fertilità
della Dea 

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L’energia di Imbolcgrazia, purezza, luce e rinascita.

La luce che è nata al Solstizio di Inverno comincia a manifestarsi all’inizio del mese di febbraio, le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando.
Le genti antiche erano molto più attente di noi ai mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza, e questo era il più difficile periodo dell’anno poiché le riserve alimentari accumulate per l’inverno cominciavano a scarseggiare.

Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno della primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.
Se sovrapponiamo la Ruota dell’Anno al nostro moderno calendario, la prima festa che incontriamo cade l’1 febbraio.

Presso i Celti l’1 febbraio era Imbolc(pronuncia Immol’c) detta anche Oimelc o Imbolg. L’etimologia della parola è controversa ma i significati rinviano tutti al senso profondo di questa festa, infatti Imbolc pare derivare da Imb-folc, cioè “grande pioggia”, e in molte località dei paesi celtici questa data è chiamata anche “Festa della Pioggia”: ciò può riferirsi ai mutamenti climatici della stagione, ma anche all’idea di una lustrazione che purifica dalle impurità invernali. Oimelc invece significa “lattazione delle pecore”, mentre Imbolg vorrebbe dire “nel sacco”, inteso nel senso di “nel grembo”, con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel grembo della Madre Terra e con un riferimento più materiale agli agnelli, nuova fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori avrebbe fatto nascere all’inizio della buona stagione. L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza tra la vita e la morte per bambini ed anziani nei freddi giorni di febbraio.

La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve, che è il primo fiore dell’anno a sbocciare e il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza della Giovane Dea e il latte che nutre gli agnelli.
Imbolc è una delle quattro feste celtiche maggiori, dette “feste del fuoco” perché l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituiscono una caratteristica essenziale. In questa ricorrenza il fuoco è però considerato sotto il suo aspetto di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente.

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Gli antichi Celti, consapevoli dei sottili mutamenti di stagione come tutte le genti del passato, celebravano in maniera adeguata questo tempo di risveglio della Natura, non vi erano grandi celebrazioni tribali in questo buio e freddo periodo dell’anno, tuttavia le donne dei villaggi si radunavano per celebrare insieme la Dea della Luce (le celebrazioni iniziavano la vigilia, perché per i Celti ogni giorno iniziava all’imbrunire del giorno precedente).
Nell’Europa celtica era onorata 
Brigit (conosciuta anche come Brighid o Brigantia), Dea del Fuoco, infatti era la patrona dei fabbri, dei poeti e dei guaritori. Il suo nome deriva dalla radice “breo” (fuoco): il fuoco della fucina si univa a quello dell’ispirazione artistica e dell’energia guaritrice.

Brigit, figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la conservatrice della tradizione, perché per gli antichi Celti la poesia era un’arte sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia, rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni.

La capacità di lavorare i metalli era ritenuta anch’essa una professione magica, e le figure di fabbri semidivini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extra-europee; l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa concezione sacra della metallurgia.
Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’ ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici. Ancora oggi, ai rami degli alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o nastri ad indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.
Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno accesso eroi ed iniziati, la ruota del filatoio è il centro ruotante del Cosmo, il volgere della Ruota dell’Anno ed anche la ruota che fila i fili delle nostre vite. La coppa, infine, è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.
Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre adottiva di Gesù Cristo, e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, giorno di Santa Bridget o Là Fhéile Brfd. Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare in birra perfino l’acqua in cui si lavava.

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A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove monache. Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella doveva pronunciare la formula rituale: “Bridget, proteggi il tuo fuoco. Questa è la tua notte”. Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare metonico, che si ripete identico ogni diciannove anni solari.
Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae, una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro recinto sacro dall’intrusione degli uomini, e i cui riti furono mantenuti attraverso molte generazioni. Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel dodicesimo secolo: il fuoco bruciò ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a questa devozione più pagana che cattolica.
I riti di Brigit celebrati ad Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e irlandese.
In Irlanda si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare (che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora.

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La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina. Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova in continuazione, anno dopo anno.
Le spighe di avena (o grano, orzo) usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena) e la bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena), si credeva cioè che lo spirito del cereale o la stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto: come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita, morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.

Un antico codice irlandese, il Libro di Lisrnore, riporta una curiosa leggenda. Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una vecchia megera liberava un 
drago, mentre dall’altra parte una giovane fanciulla lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine che abbatteva il leone. Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi ed aver saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì.
La megera non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù Cristo.
In realtà, è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto.


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Carmina Gadelica, una raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente filastrocca:

La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me”

Il serpenteappare come uno degli animali totem di Brigit.

In molte culture il serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di crescita, decadimento e rinnovamento. Nel giorno di Bride il serpente si risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine imminente della cattiva stagione.
Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della Natura ed anche la sua dualità, infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a “naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”. Quindi la Vecchia Dea e la Giovane Dea sono la stessa persona.
In un’altra area culturale europea, nell’antica Roma, i primi giorni di febbraio erano sacri alla
dea Februa o a Giunone Februata. “Februare” in latino significa purificare, quindi febbraio è il mese delle purificazioni (anche la febbre è un modo di purificarsi usato dal nostro corpo).
Processioni in onore di Februa percorrevano la città con fiaccole accese, simbolo di luce e, allo stesso tempo, di purificazione.

Col nome di 
Candelora o Candlemas (nei paesi anglosassoni) è nota la festa cristiana del 2 febbraio, denominata “Presentazione del Signore al Tempio”, ma è evidente che la nuova religione non ha potuto modificare il significato autentico della festa, un significato che è profondamente incarnato nella Natura e nello spirito umano. Il legame della festa con le candele, la purificazione e l’infanzia, sopravvisse nell’usanza medievale di condurre le donne in chiesa dopo il parto a portare candele accese.
L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore europeo, ad esempio le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte e bruciate alla Candelora per evitare che i Folletti in esse si sono nascosti infestino le case.
Il concetto di purificazione è presupposto di una nuova vita, si eliminano le impurità del passato per far posto alle cose nuove.

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Alcuni gruppi neopagani europei festeggiano Imbolc accendendo candele che sporgono da una bacinella di acqua. Il significato è quello della luce della nuova vita che emerge dalle acque del grembo materno, le acque lustrali di Imbolc che lavano via le scorie invernali.

https://it.wikipedia.org/wiki/Imbolc
https://giardinodellefate.wordpress.com/mondo-celtico/gli-8-sabbat/

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Festeggiare due volte Natale? Eppure in molti paesi si fa!

Bielorussia, Eritrea, Libano e Moldavia sono i paesi del mondo che celebrano tradizionalmente il Natale il 7 gennaio!

Pur riconoscendo il 25 dicembre come festa ufficiale!

Il motivo della differenza nelle date – che separa con una certa precisione cattolici e protestanti da un lato e cristiani orientali e ortodossi dall’altro – risale a Giulio Cesare e ha a che fare con una differenza di calendario: i cattolici e i protestanti usano quello Gregoriano, gli ortodossi quello Giuliano.

Quando papa Gregorio XIII impose il calendario che usiamo ancora oggi, il calendario gregoriano, i paesi ortodossi rimasero i soli a seguire il calendario giuliano: avevano molti meno rapporti con i paesi che avevano adottato la riforma e, a causa dello scisma tra la chiesa orientale e quella cattolica, non accettarono di compiere i loro riti sulla base di un calendario introdotto proprio dal Papa, di cui non volevano riconoscere la supremazia.

A Oriente si mantenne dunque il vecchio calendario. Il calendario gregoriano venne introdotto in Russia soltanto in seguito alla Rivoluzione d’Ottobre, nel 1917.

Numerose chiese ortodosse, in particolare quelle più legate al patriarcato di Mosca, come quella ucraina, georgiana e bulgara, non accettarono comunque mai il calendario del Papa di Roma, quindi continuarono a festeggiare il Natale 13 giorni dopo la data gregoriana, cioè il 7 gennaio .

Alcuni di questi paesi affiancarono però alla celebrazione del 7 gennaio anche quella del 25 dicembre: la Moldavia scelse di aggiungere il 25 dicembre nel 2013, come parte di una strategia di avvicinamento all’Unione Europea. L’Ucraina, che è un paese a maggioranza ortodossa, ha fatto la scelta di duplicare il Natale per gli stessi motivi della Moldavia: avvicinarsi all’Europa e allontanarsi da Mosca.

A differenza dalla chiesa cattolica di Roma, nei paesi ortodossi non esiste il presepe come il simbolo della nascita di Cristo.

Addobbare l’albero di Natale è invece una tradizione comune. Ovviamente cambia un pò anche il tipo di addobbi  natalizi che nelle case ortodosse sono  ghirlande  dove i soggetti principali sono i pesci e le pecore.

Prima del grande giorno, i fedeli osservano una quaresima di 40 giorni in cui mangiano solo cibi magri, niente carne, latticini e simili. La vigilia è il giorno del rigore: digiuno fino a mezzanotte e tante preghiere.

La canonica cena del Natale ortodosso non è ricca: vengono consumati solo uno o due piatti che ricordano ai commensali il sacro evento. La cena passa in un silenzio solenne, e la festa comincia dopo la messa notturna. A tavola si raduna tutta la famiglia, mentre il giorno di Natale (7 gennaio) vengono gli ospiti.

Anticamente, i giovani si riversavano fuori mascherati e, girando per le strade, facevano gli scherzi e chiedevano il cibo e da bere nelle case.

Diventa così molto interessante, nella tradizione iconografica del Natale Ortodosso, e alla luce del concetto di Epifania,  la presenza di dipinti in cui il bambino esposto il 7 gennaio è deposto in una piccola culla a forma di bara completamente fasciato, a voler simboleggiare il senso ciclico di ininterrotta morte e rinascita.  

Così nei primi secoli i cristiani commemoravano tre eventi insieme: il Natale, la Manifestazione ai Re Magi e il Battesimo di Gesù.

A causa degli impegni di lavoro, gli immigrati, spesso, non possono rispettare rigorosamente la tradizione. Le parrocchie ortodosse all’estero si adeguano alle circostanze. In 116 città italiane sono stati creati i centri pastorali ortodossi di cui i più grandi sono quelli di Roma, Bologna, Brescia, Napoli, Caserta, Milano, Reggio-Emilia e Venezia.

http://tuttoggi.info/oggi-si-festeggia-il-natale-ortodosso/313989/

http://www.ilpost.it/2017/12/18/ucraina-due-volte-natale/

per saperne di più:https://lauracarpi.wordpress.com/wp-admin/edit.php?s=cleopatra+e+il+mese+di+luglio&post_status=all&post_type=post&action=-1&m=0&cat=0&paged=1&action2=-1

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Significato dell’Epifania

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Epifania ἐπιφάνεια, epifanèia significa manifestazione, apparizione, venuta, presenza divina, ma come festa è precedente al cristianesimo .

Epifani sono, nella cultura greca, le divinità che appaiono agli uomini, come Zeus, Atena, Ermete.
L’epifania cristiana non s’ispira al loro culto pagano, poiché si tratta di una celebrazione della manifestazione pubblica di Gesù al mondo, non a partire da una rivelazione esterna all’umanità o sotto gli aspetti dell’umanità, come nella mitologia greca, ma nella nascita di un bambino nel popolo ebreo e che è il suo messia, e l’incontro col mondo pagano, simbolizzato dai Re Magi del vangelo.
La festa si chiama anche “Teofania”, che significa “manifestazione di Dio”.

L’uso di Epifania come festa cristiana appare non prima del III secolo e da subito diventa una celebrazione confusa: alcuni festeggiano la nascita vera e propria di Gesù, in quanto le natività di Luca e di Matteo non erano ancora state redatte e dunque la storia di Gesù partiva dal suo battesimo nel Giordano, altri collegarono la data al primo miracolo di Gesù, e quindi sempre ad una sua manifestazione come divinità, ed infine subentrate le natività, l’adorazione da parte dei Re Magi che ha il significato di manifestazione di Gesù ai pagani.

Questa confusione della festa perdura anche oggi, in quanto i Cristiani orientali associano all’Epifania il suo significato più originale, ovvero il battesimo di Gesù nel Giordano, mentre i cristiani occidentali ormai associano la data alla sola venuta dei Magi.

Nella cultura occidentale vengono addirittura attribuiti ai Magi i nomi di Melchiorre, Gasparre e Baldassare e vengono, ovviamente, identificati nel numero di 3, anche se il Vangelo di Matteo non specifica affatto quanti essi fossero. Il numero 3, oltre ad avere tutti i suoi significati esoterici, fu scelto per via dei doni che i Magi portarono, ovvero “oro, incenso e mirra”.

Non possiamo sapere con certezza chi introdusse la figura dei Re Magi e chi decise i loro nomi, fatto sta che a seconda della zona dove ci spostiamo la comunità cristiana che troviamo li identifica in tre personaggi e gli da tre nomi secondo la propria cultura, ad esempio Hor, Basanater e Karsudan per la Chiesa Cattolica Etiope oppure Larvandad, Hormisdas e Gushnasaphper la Comunità Cristiana della Siria.

Nelle chiese ortodosse, invece, la data è direttamente associata alla nascita biologica di Gesù, facendo diventare il 6 gennaio una sorta di Natale.

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Il verbo greco φαίνω (faïnò), (col senso di ” manifestarsi, apparire, brillare”), riemerge nel nome FANES ( phos= luce; phane= torcia), divinità dei seguaci dell’orfismo, che onoravano in lei la fase ultima dell’evoluzione della vita, dunque un nuovo tempo di redenzione, di apocalisse (apo: sopra, calypso: il velo= al di là del velo).

L’immagine qui sopra di Fanes, rappresenta un uomo posto al centro dello cerchio zodiacale inquadrato da quattro teste (le quattro direzioni dello spazio); tiene nella mano sinistra lo scettro del potere, nella destra il folgore; porta ali d’oro. Pone i piedi biforcuti sulla meta dell’uovo cosmico che esala fiamme, l’altra meta, sempre con fiamme , è posta sulla testa del Dio; suo corpo è avvolto dal serpente cosmico di cui si vede la testa sulla parte superiore dell’uovo.

L’Uomo è un composto in perpetuo divenire delle dodici energie primordiali ( rappresentate dalle forze zodiacali), nelle quali si è scissa l’Energia UNA, rappresentata dalla rottura dell’uovo celeste. Lo scopo supremo dell’esistenza dell’uomo nello spazio, nel tempo e nella materia è il suo ritorno alla sua origine immortale facendo coscientemente la sintesi di queste energie dissociate, attraverso un lavoro d’introspezione, di osservazione di Sé stesso e di attività interiore.

Fanes il raggiante è l’intelligenza e la luce divina che si manifestano nell’uomo, è l’Epifania divina nell’umanità, l’uomo vittorioso che finalmente vive come anima cristica, la coscienza risvegliata, l’Adam Kadmon.

Se abbiamo capito il senso del Natale, come presa di coscienza di essere anche noi una particella divina, di esser creato all’ immagine di Dio, sapremo con questa rivelazione trovare la forza, il coraggio, la determinazione per finalmente manifestare – epifania- questa nostra natura, nella nostra vita quotidiana ?

Nessun organizzazione esterna, nessun guru, nessuna legge umana potrà salvare lo Spirito umano dalla sua totale immersione nel materialismo, se la coscienza continua ad ignorare sé-stessa, rimanendo preda delle forze infra-razionali che l’asservono psicologicamente, fisicamente e socialmente.

L’inizio di questa nuova Era- con l’anno simbolico 2012- segnala un giro di boa decisivo nella nostra storia.

Ed è ora che tutta l’umanità è confrontata con la sfinge antica, dal corpo leonino, dalle ali dell’aquila scorpionica, dal busto umano: la sua voce risuona sempre più potente ed imperiosa, esigendo la soluzione dell’Enigma dell’uomo: se questo saprà o no, trovare la risposta giusta, iscritta nel cerchio zodiacale, entrerà nella via del suo glorioso avvenire, oppure sarà divorato.

E la Befana? 

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Il personaggio della Befana e la sua festa nasce e si evolve dai culti atavici della Dea Madre e dai riti e miti legati all’agricoltura e alla fertilità.

In diverse ere e culture i giorni che vanno dal Natale al 6 Gennaio venivano festeggiati perché legati alla fine del solstizio d’inverno. In popoli la cui sussistenza era legata all’abbondanza dei raccolti e ai frutti della terra, la fine dell’inverno e la rinascita del sole erano un’occasione troppo importante per non venire considerata “sacra”.

Nel grande nord, dove l’inverno è particolarmente freddo e buio si narra che Odino,in questi giorni in cui il sole riprende vigore e le giornate cominciano ad allungarsi, percorresse l’arco del cielo portando doni ai comuni mortali.

Nell’antica Grecia era la dea Hera a percorrere il cielo portando doni e abbondanza durante i dodici giorni solstiziali.

In Egitto il 6 Gennaio si festeggiava la nascita del dio Eone con una processione sulle sponde del Nilo. Statuette raffiguranti Epona, la dea amazzone, venivano poste dai celti in piccole edicole nelle stalle con il compito di proteggere gli animali e di favorire l’abbondanza dei raccolti e la fertilità della terra.

Nella tradizione rurale italiana la Befana è venuta ad incarnare la figura pagana di Madre Natura nei giorni in cui si celebra la morte e la rinascita della natura.

La dodicesima notte dopo il Natale, Madre Natura, stanca per aver dato agli uomini cibo e doni della terra per dodici mesi, prende le sembianze di una vecchia strega per farsi bruciare come un ramo secco e far sì che dalle ceneri possa nascere una nuova madre Natura, giovane e piena di forze per donare la vita alla terra per altri dodici mesi. 

Prima di partire però la vecchia passa a distribuire a tutti i semi che sarebbero nati l’anno successivo. Per questo in molte parti d’Italia si eseguono diversi riti purificatori in cui si scaccia il male e la cattiva sorte facendo un gran rumore percuotendo dei pentoloni o si accendono dei grandi falò in cui spesso viene bruciato un fantoccio dalle sembianze di vecchia strega.

Poiché la Befana è l’immagine della Madre Terra, colei che presiede a tutto ciò che si rinnova e dispensatrice di doni e frutti, alla terra sono legati i regali che nella tradizione elargisce ai bambini: fichi secchi, noci, castagne, mele diventati ai giorni nostri tanti dolciumi industriali.

Con il trascorrere dei secoli la Befana perde la propria connotazione benigna di Madre Natura e, sotto la spinta del cristianesimo, comincia ad essere considerata una sorta di strega.  Nel Medioevo, periodo a tinte fosche in cui forti sono le credenze e le paure popolari, la componente magica e demoniaca trasforma una divinità della fertilità in una vecchia malvagia e dissoluta legata a satana.

Il mito legato al periodo romano di Diana, dea notturna e dell’abbondanza che, in compagnia di altre donne, sorvolava i campi appena seminati per renderli fertili, decade sino a trasformare queste donne in malvagie streghe brutte e sdentate, dai capelli arruffati a dagli abiti cenciosi, aprendo così la strada all’iconografia della Befana giunta sino ai giorni nostri.

La chiesa cristiana che condannò questi rituali di fertilità pagani come demoniaci e la fantasia popolare, portarono alla credenza che queste streghe fossero solite solcare il cielo a cavallo di una scopa nella notte tra il 5 e il 6 Gennaio per compiere i loro sortilegi.

Poiché una dea buona e generosa non può trasformarsi improvvisamente in una strega assolutamente malvagia, nella credenza popolare questi due aspetti continuarono a convivere.
La Befana divenne quindi una vecchia signora capace di portare in sé sia il bene che il male.
Gentile e benevola come dea della terra e della fertilità si sa dimostrare cattiva e spietata con chi non rispetta le regole.

Sino alla fine del ‘500 comunque la Befana non è ancora una persona sola, che viene incarnata da queste donne/streghe, ma soprattutto è una festa.
Una festa in cui si accendono fuochi e si suona e si balla per esorcizzare l’inverno con le sue paure (la faccia demoniaca della Befana) e si festeggia l’arrivo di una nuova stagione, si spera, ricca di messi e di doni (la faccia buona della befana).
Sino alla fine del ‘600 esiste la credenza che le Befane siano due, una buona ed una cattiva.
Con il passare degli anni le due diventano una, buona e cattiva al tempo stesso, ma rimane sempre una splendida occasione per fare festa.
Una festa a cui partecipano tutte le classi sociali senza distinzioni tra nobili e plebei.

Da questo periodo in avanti la Befana diventa sempre di più la figura fantastica e folcloristica che è arrivata sino ai giorni nostri.
Una vecchia spaventosa nell’aspetto ma buona nell’animo che viene a portare doni per i bimbi buoni e carbone (nero, il simbolo del peccato) per chi si è comportato male.

Fonte: http://www.kurokumoryu.wordpress.com
http://biblia.wordpress.com
http://masseria.over-blog.com

 

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Il melograno frutto simbolo alchemico, massonico, cristiano, esoterico,astrologico…e poi antiossidante, astringente, antidepressivo,anti… Buono!


Il melograno è un delizioso frutto della stagione autunnale, ricco di significato simbolico.

Il melograno ha 613 chicchi come le 613 mitzvot della Torah: puo darsi che il numero dei chicchi del frutto non sia proprio questo, ma poco importa; interessa invece su quale simbologia si è basata la tradizione e quale insegnamento ha voluto tramandare.

613 è il 112° numero primo, e 112 è la somma dei primi due valori gematrici della lettera ebraica Aleph: 1 e 111 (Aleph 1 + Lamed 30 + Peh 80= 111)

Nella gematria a 613 corrisponde:
אֶבְיָתָר Ebyathar Padre dell’abbondanza
האוֹר אֶת Et ha-Aur la Luce
יִשְׂרָאֵל אֱלֹהִי יהוה Yehovah Elohi Ishrael YHWH Dio d’Israele
ברית א B’rit Aleph Prima Alleanza
בתורה B’Tora Nella Tora
משה רבינו Mosheh rabbeinu Mosè il nostro maestro

Melograno in ebraico è Rimon רימון, scritto con le lettere Resh Iod Mem Vav Nun, rispettivamente i numeri 200 10 40 6 50, che sommati danno un valore gematrico di 306.
Il 306° giorno dell’anno è il 2 Novembre, il giorno dei morti.
Come sappiamo, la festa dei Morti, come Halloween o Samhain, cade 8 giorni dopo che il Sole sia entrato nell’ottavo segno, ovvero in Scorpione, un segno che rappresenta le tenebre e la morte.

Ed è Saturno in esaltazione in Bilancia che porta le tenebre dell’anno segnando l’equinozio di Autunno, quando la luce inizia a diminuire, a causa della virtù di ”Riduzione” di Saturno.
Saturno in esaltazione in Bilancia è anche la Legge, ed ecco l’affinità con le 613 Mitzvot (leggi) della Torah e i chicchi del melograno: non a caso, nella tradizione ebraica, il Capodanno o Rosh haShanah si festeggia in autunno, sotto la Bilancia.

Lo Scorpione rappresenta la putrefazione, la morte da cui nasce la vita, le acque stagnanti di una palude dalla cui stasi e putrefazione nascono i batteri e dunque la vita; il seme che deve morire affinchè possa nascere il frutto.
Il seme muore dopo 3 giorni o 72 ore: da Halloween al giorno dei morti trascorrono 3 giorni.

Con questa simbologia di morte e resurrezione dopo 3 giorni, sono costruiti gran parte dei misteri antichi, tra le quali quelli del Cristianesimo: non era forse Cristo il ”Seme” o il Logos\Verbo ?
Scorpione non a caso è un segno che governa i genitali, e come si è scritto prima rappresenta il seme che muore.
Anche il seme maschile deve morire, perchè possa fecondare, per dare origine alla vita: la durata della vita degli spermatozoi è infatti di circa 3 giorni.

Il melograno ha molta affinità con le ovaie, e il suo succo con il sangue, appunto i genitali femminili in simbolo di fecondità: nell’astrologia moderna, si assegnano queste parti del corpo a Plutone e al segno dello Scorpione, infatti nel mito di Plutone e Persefone si menzionano i melograni.

Il frutto ha:
– una forte corteccia;
– contiene dei piccoli semi all’interno;
– il suo sapore puo essere amaro;
– puo essere coltivato in diversi tipi di terreni, anche in terre sterili o desertiche o difficili da coltivare;
– le sue origini provengono dall’India Settentrionale, terre governate da Saturno secondo la corografia tolemaica (Capricorno, Acquario; immagine nei commenti);
– i suoi fiori e foglie possono essere velenosi: Saturno è il significatore naturale dei veleni;

I significati sono identici a quelli di Saturno, e non a caso l’astrologo Al Biruni, assegnava il governo di questo pianeta al frutto.

Il frutto ha i seguenti benefici:
– ha forte potere antiossidante;
– migliora la circolazione sanguigna;
– è astringente;
– è antidepressivo;
– contiene vitamina C ed è utile più degli agrumi per combattere il raffreddore;
– nella donna in menopausa allevia i disturbi, nell’uomo sembra aumentare il desiderio sessuale;

Tutti questi sono i contrari delle virtu naturali di Saturno, come:
– l’ossidazione o la calcinazione
– rallentamento della circolazione sanguigna
– la depressione
– la vitamina C combatte il raffreddore che è provocato dalla qualità elementare del Freddo: Saturno è Freddo-Secco e in astrologia è legato ai raffreddori
– inibizione del desiderio e delle funzioni sessuali: anticamente in India si faceva bere il succo di melograno alle donne sterili: secondo me, perchè ci si basava probabilmente sul pensiero analogico e sulla medicina omeopatica: essendo Saturno un pianeta sterile e che puo dare la sterilità, forse si pensava che l’assunzione del succo di un frutto da esso governato (come il melograno) avrebbe guarito;

Il frutto del melograno è un simbolo di:
– fertilità e abbonanza, che è il contrario della sterilità e dello scarso raccolto dei significati di Saturno;
– comunità tra singoli individui, ed è per questo infatti simbolo per eccellenza della Loggia Massonica;
– è rappresentanto nella colonna massonica del Meridione (Jachin): in astrologia, quando siamo in autunno, il Sole sta iniziando il suo percorso nel settore meridionale dello Zodiaco;
– è un simbolo del motto alchemico ”VITRIOL” (Visita Interioris Terrae Rectificandoque Invenies Occultum Lapidem): la robusta corteccia del frutto è rappresentata da Saturno, sotto cui vi è un benefico e gradevole succo; in analogia, scavando all’interno, nell’interiorità, si trova il vero tesoro alchemico; o l’analogia dell’andare oltre l’apparenza superficiale, e valutare il rigido Saturno stesso come vero tesoro iniziatico: è il motivo per cui, per gli alchimisti, in Saturno-Piombo vi è il Vero Oro-Sole della tradizione;

Nel mito di Hiram, architetto del Tempio di Salomone, si racconta di melograni:
”compì le colonne con due ordini di melagrane attorno al reticolato, da coprirne il capitello che sormontava la colonna. Lo stesso fece al capitello dell’altra.
V’erano inoltre, in cima alle colonne, sopra ai reticolati, altri capitelli proporzionati alla colonna, ed intorno a questo secondo capitello, disposte in ordine, altre duecento melagrane”

A motivo del suo profondo significato simbolico, il frutto è raffigurato in molta iconografia religiosa ed esoterica, come ad es. ”La Madonna della Melagrana” del Botticelli.

Non ne ho mai visti e gustati tanti come quest’anno!

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Il 2 novembre e i bambini.

“ Mi chiamo Pedro, sono un bambino  e abito a San Isidro, una piccola città del Michoacán. Fa molto freddo qui e ci sono molte colline pieni di alberi. Io credo che per questa ragione tutte le nostre case sono fatte di legno.

Nella mia comunità abbiamo varie feste durante l’anno; ognuna ha una celebrazione speciale.

Il Giorno dei Morti è la più importante dell’anno.

In ottobre, le farfalle Monarca ci avvisano che stanno per arrivare le anime dei morti e che dobbiamo preparare ogni cosa per riceverle. Queste farfalle le chiamiamo anime e ne abbiamo molta cura. Sono di colore arancio e nero ed incominciano ad arrivare a migliaia nei nostri boschi per attendere la festa dei Morti.

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Il 22 ottobre, quando mancano ancora dieci giorni alla festa, incominciamo i preparativi. Molto presto, prima dell’alba, facciamo dei fuochi d’artificio che annunciano l’arrivo dei bambini e delle bambine che sono morti da meno di un anno, e che noi chiamiamo angioletti. Adorniamo le porte con fiori gialli per dare loro il benvenuto.

Quello stesso giorno prepariamo per loro una bellissima cesta con del cibo affinché non abbiano fame e stiano bene. Ci mettiamo molti fuochi d’artificio, che piacciono ai bambini, inoltre: biscotti, dolci, panini, bibite e frutta. Anche fiori ed una candela di cera per far loro luce. Questa cesta rimane in casa ed il primo di novembre la si porta al cimitero.

Le persone che hanno un parente morto da meno di un anno, devono fargli una croce di legno durante questi giorni.

Durante la mattina decoriamo le croci di legno. Mettiamo dei fiori silvestri, frutta, guaiave, arance, pani, carte colorate, bottiglie di liquore, bibite, biscotti e panini dolci.

Questo primo giorno è dedicato ai giovani ed ai bambini defunti. La gente porta le corone e le croci decorate e, nella cappella del cimitero, si celebra la messa dedicata ai morti che sono ritornati.

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Il 2 novembre è dedicato ai defunti adulti. In questo secondo giorno ci sono più persone e si possono vedere tutte le tombe decorate, piene di fiori e di candele accese.

Il cimitero appare vivace con tutti quei colori e con tanta gente che sta conversando.

Io credo che i morti debbano sentirsi molto felici perché è tutto molto bello.”

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http://www.ilpaesedeibambinichesorridono.it/giorno_dei_morti.htm

Il Giorno dei Morti, in spagnolo Día de los Muertos, è una forma particolare di festa dei defunti tipica della cultura messicana che si osserva anche nel sud-ovest degli Stati Uniti. Il Giorno dei morti è festeggiato anche in Brasile come “Giorno delle Anime”, ma la festività non presenta radici precolombiane.

Le celebrazioni hanno luogo dal 1 al 2 novembre, nello stesso momento in cui vengono celebrate le feste cristiane dell’Ognissanti e della Commemorazione dei defunti.

I festeggiamenti possono durare molti giorni, riprendendo le tradizioni precolombiane che ne sono all’origine, prima che la festa venisse recuperata e adattata dalla Chiesa cattolica. La festa viene celebrata con musica, bevande e cibi tradizionali dai colori vivi, combinati a numerose rappresentazioni caricaturali della morte.

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22 Luglio :Festa di Maria Maddalena

ll Nuovo Testamento non afferma in modo chiaro che Gesù era sposato, ma nemmeno che non lo era.

Effettivamente il Vangelo contiene numerose specifiche allusioni al suo avvenuto matrimonio  e d’altra parte le regole dinastiche lo imponevano. Non soltanto l’erede della stirpe dei Davide era obbligato per la legge a sposarsi ma doveva anche generare almeno due figli maschi.

Ciò rappresentava un passo fondamentale nel progresso dell’erede della dinastia dall’iniziazione  alla piena appartenenza alla Comunità

Come abbiamo visto le regole del matrimonio dinastico erano molte e rigide.

Uno fra i libri più coloriti del Vecchio Testamento è il Cantico dei Cantici , una serie di rime di amore fra uno sposo regale e la sua sposa.

Il Cantico di Salomone identifica la simbolica pozione nuziale con l’unguento aromatico chiamato spigonardo, un unguento prezioso che veniva usato anche per ungere i corpi dei morti regali.

Lo stesso unguento costoso venne usato da Maria di Betania per ungere il capo di Gesù in casa di Lazzaro. e un altro episodio simile avvenne qualche tempo prima quando una donna unse i piedi di Gesù e poi li asciugò con i propri capelli. Anche quella donna si chiamava Maria.

Maria di Betania non soltanto unse il capo di Gesù in casa di Simone, ma gli unse anche i piedi e poi li asciugò con i suoi capelli nel marzo del 33 d.C. Due anni e mezzo prima , nel 30 d.C. aveva compiuto lo stesso rito di unzione tre mesi dopo le nozze di Cana.

Compiere il rito con lo spigonardo era uno specifico privilegio di una sposa messianica e avveniva unicamente durante le cerimonie del Primo e Secondo Matrimonio

Soltanto come moglie di Gesù a tutti gli effetti e come sacerdotessa Maria avrebbe potuto ungergli il capo e i piedi con il sacro unguento.

Esattamente come gli uomini che venivano designati ad occupare varie cariche prendendo i nomi dei loro antenati – come Isacco, Giacobbe e Giuseppe – così le donne venivano denominate secondo la loro genealogia e il loro rango: Rachele, Rebecca,Sara, e così via.
Le mogli dei discendenti di Davide avevano il nome di Miriam (Maria)

Perciò la madre di Gesù si chiamava Maria e per lo stesso motivo la moglie di Gesù si chiamava Maria.
All’epoca di Qunram, le Miriam, Marie, facevano parte di un ordine spirituale nella comunità ascetica dei Terapeuti.


Mentre i “Mosè” guidavano gli uomini nelle funzioni liturgiche, le “Miriam” guidavano le donne.
Queste donne compivano il rito del Secondo Matrimonio soltanto quando erano in cinta di tre mesi. A quel punto la donna cessava di essere una almah e diventava una futura madre.
Durante i lunghi periodi di separazione dettati dalle regole matrimoniali, la moglie diventava sorella, in senso religioso, e il compito era quello di accudire il padre,


La differenza tra le Marte e le Marie era che le prime avevano diritto di possedere dei beni le seconde no. Nella comunità  le “sorelle” erano considerate “vedove”,  un gradino sotto le almah. poi quando si sposavano salivano al rango “di madri”


Quindi chi era esattamente Maria di Betania, la donna che unse due volte Gesù con lo spigonardo secondo la tradizione messianica?
Effettivamente non fu mai “Maria di Betania.” Nella Bibbia lei e Marta vengono indicate soltanto come sorelle di Lazzaro di Betania.
Il nome completo di Maria era Sorella Miriam di Magdala, meglio nota come Maria Maddalena.
I Vangeli ufficiali contengono pochi riferimenti alla stretta intimità tra Gesù e Maria Maddalena.
Nel Vangelo di Filippo invece il rapporto tra loro viene discusso apertamente.

“..e la compagna del Salvatore è Maria Maddalena.

Ma Cristo l’amava più di tutti i suoi discepoli. e soleva baciarla spesso sulla bocca. Gli altri discepoli ne erano offesi ed esprimevano disapprovazione. Gli dicevano “ perchè la ami più di tutti noi?”
Il Salvatore rispondeva loro: “ perchè non vi amo come lei? Grande è il mistero del matrimonio, giacchè senza di esso il mondo non sarebbe esistito.  Ora l’esistenza del mondo dipende dall’uomo e l’esistenza dell’uomo dal matrimonio.”

Riguardo la cerimonia nuziale di Canaa questa non era il Matrimonio ma il sacro pasto che precedeva il fidanzamento.

L’usanza voleva che vi fosse un “padrone di casa” ufficiale che aveva la funzione di direttore di mensa.  Dopo di lui venivano lo sposo e sua madre.
Nessun invitato avrebbe potuto ordinare di mescere l’acqua che era diventata vino: quindi Gesù e lo sposo erano la stessa persona.
Questo banchetto ebbe luogo tre mesi prima che Maria ungesse per la prima volta i piedi di Gesù. E secondo le regole soltanto come sposa di Gesù , Maria sarebbe autorizzata a compiere quell’atto  Se lo avesse fatto prima come almah fidanzata , sarebbe stata classificata come una peccatrice e considerata una donna menomata.

Dalle ricerche storiche fatte sui rotoli del Mar Mortosi può dedurre che Maria sia nata nel 3 d.C. e quando sposò Gesù per la prima volta nel 30 d.C. ne aveva 27.
Essendo rimasta in cinta nel dicembre del 32 d.C., Maria dette alla luce sua figlia Tamar nel 33 d.C., all’epoca del suo Secondo Matrimonio.
Durante i primi anni 40 d.C. Pietro, era il braccio destro di Gesù e come tale sarebbe dovuto diventare il tutore di Maria Maddalena durante gli anni della sua separazione ( vedovanza simbolica) ma Pietro aveva una cattiva opinione delle donne e non era disposto a stare agli ordini di una sacerdotessa.

Anche Paolo, molti anni dopo, fu nettamente contrario al coinvolgimento delle donne nella divulgazione della religione.
Così esclusero nettamente Maria dal nuovo movimento cristiano e per garantire il suo totale allontanamento, la dichiararono pubblicamente “eretica” in quanto amica di Elena-Salomè, consorte di Simone Zelota, il Mago, fondatore del movimento  esoterico gnostico a Cipro.

A quel tempo Maria era a Marsiglia, dove la lingua ufficiale era il greco ed è per questo che il linguaggio di Gesù e degli apostoli e di tutto il giudaismo ellenico era fortemente influenzato dal greco.
Secondo la tradizione gnostica Maria Maddalena veniva associata alla Saggezza (Sophia)rappresentata dal sole, la luna, e un’aureola di stelle.
Si riteneva che la gnosi femminile di Sophia fosse lo Spirito Santo, rappresentato perciò sulla terra dalla Maddalena, che fuggì in esilio portando in seno il figlio di Gesù.
Giovanni , nella Rivelazione, descrive Maria e suo figlio , della sua persecuzione, della sua fuga in esilio e della caccia al “resto  del suo seme” da parte dei romani.
Oltre a Maria tra gli emigrati in Gallia nel 44 d.C. c’erano Marta e la sorella Marcella, l’apostolo Filippo e sua moglie Maria Iacopa,e Maria Salomè.
Sbarcarono in Provenza a Ratis, noto oggi come Les Saintes Maries de la Mer.
Il culto più attivo della Maddalena si insediò a Rennes-le-Chateau, ma anche altrove sorsero molti santuari dedicati a Saint Marie de la Madeleine, fra cui il luogo della sua sepoltura a Saint-Maximin-la-Sainte-Baume dove i monaci dell’ordine di San Cassiano vegliarono sul suo sepolcro e tomba di alabastro dall’inizio del ‘400.

continua a leggere….” L’immacolata concezione “

Oggi Maddalena torna a sottolineare il ruolo della donna come tramite tra terra e cielo, anima e materia, svelando il corpo e la sessualità come l’unico luogo in cui il trascendente diventa immanente. 

Celebriamo la Grande Madre, riconosciamo Lei nella Terra che ci accoglie e nella Donna Risvegliata che dimora dentro di noi.

Celebriamo il nostro corpo sacro che nei cicli eterni di morte e rinascita porta trasformazione e crescita.

Leggi :

Il vangelo di Maria Maddalena – Kathleen McGowan – Edizioni PIEMME

opera di Dante Gabriele Rossetti

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Il Neem, l’albero sacro dell’India: il più antico insetticida del mondo

Tra i tanti possibili esempi c’è un grande albero, che purifica l’aria, fornisce un’ombra rinfrescante e tiene lontane le zanzare: il Neem.

L’albero di neem è originario dell’ India, ove gli usi di questa pianta, sono ben noti sin dall’ antichità. La prima testimonianza del suo uso risale a 4500 anni fa, ancor prima che gli antichi erboristi scoprissero i benefici del Salice, Timo, Mirra e Pino.
I primi scritti medici Sanskriti riferiscono i benefici dei frutti, semi, olio, foglie, radici e corteccia del Neem. Di conseguenza, non ci meraviglia che il Neem dell’India sia chiamato in modo affettuoso “la farmacia del villaggio” perchè i suoi frutti, semi, foglie, corteccia e radici contengono composti che dimostrano proprietà anti-fungho, anti-infiammatorie, anti-virali, anti-batteriche e anti-settiche.

Cresce nelle zone tropicali e sub-tropicali di Asia, Africa, America (Centro e Sud), Medio Oriente, Australia, Oceania. 

Ha molti altri nomi popolari (come Margosa, Nimba, Lillà d’India) nelle varie località di diffusione nel mondo.  Il nome persiano di quest’albero è Azad-Darakth che tradotto vuol dire Albero Libero. In sanskrito invece viene chiamato “sarva roga nivarini”: il guaritore di tutti i malanni. Per gli arabi: “Shajar-e-Mubarak” ossia “albero benedetto”.

Fu introdotto nell’Africa occidentale all’inizio del XX secolo per fornire ombra e impedire al deserto del Sahara di estendersi a sud. I selvicoltori hanno introdotto questo albero anche nelle Figi, nelle isole Mauritius, in Arabia Saudita, nell’America centrale e meridionale e nelle isole caraibiche. Negli Stati Uniti ci sono piantagioni sperimentali nelle zone meridionali dell’Arizona, della California e della Florida.

I tre principi attivi principali della pianta sono la azadiractina, la margocina e la katechina.
Il neem è stato dichiarato dalle Nazioni Unite “Albero del 21° Secolo”.
Appartiene alla famiglia del mogano. Raggiunge 30 metri di altezza e circa 2,5 metri di circonferenza. Cresce in fretta, richiede poche cure e sopravvive bene nei terreni poveri.
Per le sue doti straordinarie quest’albero è stato conteso tra le multinazionali del farmaco e il governo dell’India ha dovuto sostenere una causa contro la W.R. Grace che aveva già depositato oltre 70 brevetti per monopolizzare gli straordinari principi attivi di questa pianta.

L’albero del neem è una bella pianta che si può facilmente far crescere anche nel nostro clima temperato, dove sopporta le rigidità del clima invernale, perdendo la sua chioma fino alla primavera. Data la frugalità e la sua rapida crescita, la si può facilmente allevare nei giardini e nei parchi dove, oltre a fare ombra in estate, contribuirà a tenere lontane le zanzare. Questo albero, infatti, non è soggetto all’aggressione di insetti e parassiti, che al contrario tiene lontani, migliorando la qualità dell’ambiente circostante e purificando l’aria con i suoi fiori.
La ricerca ha dimostrato che il neem ha una gamma d’uso più vasta di qualsiasi altra pianta: è stato largamente impiegato nei rimedi per la salute, il benessere e la bellezza per molti secoli. Tutte le parti della pianta presentano attività biologica, tuttavia il seme rimane l’elemento più attivo.
Ma, l’aspetto che maggiormente ci interessa è che il neem costituisce un ottimo strumento salutare per la lotta alle zanzare, in quanto non solamente l’olio dei semi, ma la pianta stessa, in tutte le sue parti – radici, legno, corteccia, foglie e fiori – è un repellente efficace di questo fastidioso insetto.
Le foglie secche del neem (che possono essere conservate dopo la caduta) ad esempio, se vengono bruciate, producono un fumo che purifica l’aria e tiene lontane le zanzare.

In India, sin da tempi antichi, questa pratica ha aiutato a tenere lontani gli insetti, specialmente dopo i monsoni, e a favorire la salubrità dell’aria, depurata da microrganismi patogeni.

L’olio di neem (nome popolare dato in India anticamente in onore della dea Neemari) viene estratto dai semi, spremuti a freddo, dell’Azadirachta.

La suddivisione della pianta, secondo l’Ayurveda è la seguente:

Rasa – Gusto: Tikta (amaro), Kasaya (astringente)

Guna – Proprietà: Laghu (leggero)

Virya – Potenza: Sheeta (fredda)

Vipaka – Sapore post digestivo: katu (piccante)

Prabhava – Azione specifica: riparazione delle ferite, antinfiammatorio),
antiepilettico, malattie dell’occhio, malattie ostinate delle vie urinarie (compreso il diabete), anti ittero, rinfrescante, antielmintico, antimicrobico, insettifugo.

Una conferma dalla natura: in India, i passeri aggiungono foglie di neem ai loro nidi, e poiché non le mangiano e l’analisi mostra l’assenza di molti parassiti usualmente presenti nei nidi, sembra evidente un uso indotto dalla constatazione empirica, come avviene spesso fra gli animali.

Il Mahatma Gandhi lo amava molto e, come molti maestri dell’India, spesso pregava e meditava all’ombra delle sue fronde ed ogni giorno beveva un infuso delle sue foglie amare.

Fonti:*http://gogreen.virgilio.it/*http://www.google.it* http://celticfearn.wordpress.com/ *http://www.progettoscudo.it/ *http://www.ekira.it/

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Perchè siam donne: Il vero motivo della caccia alle streghe…

Il 28 giugno 1424 sulla Piazza del Campidoglio fu bruciata viva la fattucchiera Finnicella; partiva così proprio da Roma la caccia alle streghe che avrebbe insanguinato tutta l’Europa per finire anche nel Nuovo Mondo.

Fino ad allora la Chiesa non aveva una posizione codificata verso chi professava riti cosidetti magici, la vicenda di Finnicella segna il punto di svolta dell’atteggiamento della Chiesa verso quell’insieme di credenze, superstizioni e comportamenti che erano elencati come stregoneria.

Finnicella è un personaggio veramente esistito nella Roma del XV secolo.

Il suo nome è riportato dalle cronache capitoline, e si può definire la capostipite delle cosiddette streghe ( dal latino “strix” che significa uccello notturno)bruciate nel mondo colpevoli di aver esercitato arti diaboliche e quindi malefiche.

Le donne trucidate dall’inquisizione, il più delle volte, come nel caso di Finnicella, non avevano nulla a che fare con le accuse che erano mosse. loro. Spesso si trattava di povere donne di umili condizioni la cui colpa era soltanto quella di aver conservato e tramandato quelle tradizioni popolari, legate alla natura, che derivano da un paganesimo mai estirpato. Tra le categorie che hanno visto più vittime ci sono le erboriste e vedove.

Fu Innocenzo VIII, nel 1484, a dar via a questa crudele crociata con la sua bolla “Summis desiderantes affectibus“ (Desiderando con supremo ardore)mettendo in pratica quella che sarebbe diventata la “bibbia del terrore”, contro ogni forma di stregoneria, il Malleus Maleficarum, (Il Martello delle Streghe).

Il popolo di Roma mormorava dei misfatti che la donna avrebbe compiuto: trenta neonati uccisi per berne il sangue ancora caldo e il figlio stesso che Finnicella avrebbe ucciso per poi non si sa come arrivare a farne polvere da ingerire per oscuri e nefandi riti magici.

Questi racconti arrivarono a Bernardino da Siena: in quel periodo era a Roma dove, per incarico del Papa, teneva quotidianamente le sue prediche in piazza; bastarono le accuse della fattucchiera perché formulasse un’accusa formale di stregoneria.

Durante il sommario processo ci furono dottori che tentarono di difendere Finnicella sostenendo che i neonati non li uccideva ma li faceva nascere semplicemente perché era un’ostetrica.”( RomeandArt ).

La colpa di Eva è stata quella di voler conoscere, sperimentare, indagare con le proprie forze le leggi che regolano l’universo, la terra, il proprio corpo, di rifiutare l’insegnamento calato dall’alto, in una parola Eva rappresenta la curiosità della scienza contro la passiva accettazione della fede…

Margherita Hack

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