
Stasera mari e cieli e mari e cieli e ancora mari e ancora cieli ….infiniti ci aspettano ricchi di possibilità!
foto di Laurin
puoi tutto quello che vuoi ( whatever you want you can)

Stasera mari e cieli e mari e cieli e ancora mari e ancora cieli ….infiniti ci aspettano ricchi di possibilità!
foto di Laurin

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Non si può non emozionarsi davanti ad un simile spettacolo che la natura ci mostra !
E’ un invito a scegliere la via del cuore!
Come sopra così sotto!
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L’11 Novembre si celebra San Martino, patrono di Belluno e di un centinaio di altri comuni, nonché protettore di albergatori, cavalieri, fanteria, mendicanti, sarti, sinistrati, vendemmiatori e forestieri.
La leggenda vuole che proprio in concomitanza di questa data l’Italia, ma anche parte dell’Europa, viva la cosiddetta Estate di San Martino, un periodo autunnale in cui, dopo le prime gelate, si verificano condizioni climatiche di bel tempo e relativo tepore.
La leggenda del mantello di San Martino è molto antica e non si sa quando sia stata associata dalla memoria popolare e contadina al bel periodo che caratterizza la seconda decade di novembre che noi chiamiamo Estate di San Martino mentre nei Paesi anglosassoni viene definita Indian Summer: Estate Indiana.
E in alcune lingue slave, tra le quali il russo, è denominata “ Bab’ e Leto”, “ Estate delle Nonne”
L’espressione “estate indiana” fa riferimento alla storia dei nativi che un tempo approfittavano di questo particolare periodo per terminare la raccolta prima del sopraggiungere dell’inverno.
Sia come sia San Martino e l’Estate Indiana vengono festeggiate a partire dall’11 novembre e per tre o quattro giorni.
Martino di Tours nacque a Candes-Saint-Martin in Pannonia (oggi Ungheria) il 316 o 317 e fu così chiamato dal padre, importate ufficiale dell’Esercito romano, in onore di Marte, il dio della Guerra. Da adolescente si trasferì con la famiglia a Pavia ove all’età di 15 anni si arruolo nell’esercito. Mandato in Gallia conobbe il Cristianesimo tant’è che si congedò dalle armi divenendo monaco nella regione di Poitiers.
Quando Martino era ancora un militare, ebbe la visione che diverrà l’episodio più narrato della sua vita e quello più usato dall’iconografia .
Si narra infatti che quando si trovava alle porte della città di Amiens, in una giornata di pioggia, vento e gelo con i suoi soldati, incontrò un mendicante seminudo. D’impulso tagliò in due il suo mantello militare e lo condivise con il mendicante.
Martino, contento di avere fatto la carità, spronò il cavallo e se ne andò sotto la pioggia, che cadeva più forte che mai. Ma fatti pochi passi ecco che smise di piovere ed il vento si calmò. Di lì a poco le nubi si diradarono, il cielo divenne sereno e l’aria si fece mite. Il sole cominciò a riscaldare la terra obbligando il cavaliere a levarsi anche il mezzo mantello.
Quella notte sognò che Gesù si recava da lui e gli restituiva la metà di mantello che aveva condiviso. Quando Martino si risvegliò il suo mantello era integro.
La leggenda narra che dopo questa avventura decise di farsi battezzare e che nel tempo divenne Vescovo di Tours, morì l’8 novembre e l’11 vi furono i suoi funerali.
Sebbene l’Estate di San Martino rimanga una leggenda popolare, essa trova tuttavia un reale riscontro fisico.
Quest’anno l’11 novembre non è il primo e non sembra neanche essere l’ultimo giorno di un autunno ancora particolarmente caldo.
Il sole splende da almeno una settimana indisturbato e cocente tanto che qui al mare in molti si trastullano nell’acqua trasparente che si avvicina in piccolissime onde sulla bastigia.
foto di Laurin
I giorni precedenti a questa festa si costruiscono lanterne di carta e l’11 novembre si percorre verso sera un tragitto con la propria lanterna illuminata cantando canti in onore di San Martino che ha donato la luce e che invita tutti noi a cercarla e ad offrirla al mondo.
In questi giorni l’oscurità si diffonde sempre più, le foglie cadono, la natura va in letargo e anche noi siamo portati a restare sempre più dentro a noi stessi, a ritirarci dal mondo.
Ma se la luce esterna sbiadisce la luce interna deve continuare a brillare e a indicarci la via nel buio che avanza.
“l’estate di San Martino solitamente dura tre giorni ed un pochino. “
Le foreste ferite di Capri vivono sotto il mare.
Sono l’habitat ideale per moltissimi organismi viventi, come i pesci, che ci depongono le uova; e come gli alberi di una foresta tropicale sono capaci di produrre ossigeno e abbattere l’anidride carbonica. Fronde marine composte da un’alga bruna tipica del Mediterraneo, la Cystoseira, che potrebbe crescere rigogliosa ma che a Capri, sotto i Faraglioni, è stata annientata dallo scempio dell’uomo.
I pescatori di frodo di datteri, per estrarre dalla roccia calcarea i prelibati frutti di mare, hanno spazzato via con i martelli pneumatici ogni forma di vita, alghe comprese. Senza di queste, in un ambiente così desertificato, addio anche a pesci e ad altri organismi.
Ma se un giorno queste alghe, preziose custodi della biodiversità, ricominceranno a crescere il merito sarà di quattro ricercatrici dell’Università di Trieste. che, da maggio e per un anno, sono impegnate in una operazione di restauro ecologico dei fondali marini dell’isola.
Con muta e bombole le ricercatrici si immergono fino a 50 metri di profondità, all’ombra degli spettacolari scogli che spuntano dal mare come Ciclopi, per prelevare i campioni di acqua in superficie e in profondità. Lo scopo è individuare i danni e i siti più idonei dove intervenire.
Le ricercatrici sono tutte subacquee. «Necessariamente, — dice Annalisa Falace, 55 anni, docente di Algologia all’Università di Trieste e a capo del progetto —. Per raccogliere campioni di alghe non c’è altro modo». La squadra, collaudatissima e composta da studiose italiane e croate — con Annalisa, la biologa Sara Kaleb e le dottorande Marina Srijemsi e Martina Grigoletto —, sta lavorando al ripopolamento della foresta marina come farebbe un gruppo di agricoltori in una serra.
«Con la differenza che sulla Terra coltiviamo dal Neolitico, sott’acqua iniziamo ora», puntualizza Annalisa. L’originalità del metodo, sviluppato nell’ambito del progetto europeo ROC-POPLife, sta nella produzione in acquari di nuove «plantule» da reintrodurre in ambiente marino, senza danneggiare i siti donatori.
«In acqua cerchiamo le alghe in buone condizioni, ne prendiamo un pezzo con gli elementi riproduttivi, lo portiamo in laboratorio e lo replichiamo con le colture. Le nuove piantine poi tornano in mare, crescono e dopo un anno diventano fertili e producono nuove piante — spiega Annalisa—. Risultati? Con la stessa tecnica ho ricolonizzato in tre anni un chilometro di costa nelle aree protette delle Cinque Terre e di Miramare».
Con lei, da 20 anni, lavora la biologa Sara Kaleb, 41 anni, croata di nascita:”Insieme abbiamo costruito il laboratorio di Algologia di Trieste e siamo il cuore di un team non a caso tutto femminile . Siamo idealiste. Non abbiamo le classiche ambizioni del contesto accademico, tipicamente maschile, ma il sogno di ripristinare quello che c’era per consegnare qualcosa di migliore».
Una passione nata da bambina quando, a cinque anni, Annalisa Falace legge un libro il cui protagonista è un algologo di Capri. «Me ne sono innamorata perdutamente — racconta adesso —. Mamma era maestra e ho iniziato a leggere presto. In fondo c’era la classificazione delle alghe e l’ho imparata a memoria. Più tardi, al liceo, in gita a Trieste con mio padre, vidi una targa al Castello di Miramare con riportato il nome di “Guido Bressan, algologo”. Era domenica, lo chiamai a casa sua. Ci diede appuntamento in un caffè di Trieste… Anni dopo, è diventato il mio professore».
Le scienziate-sub che piantano alghe nel mare di Capri: «Così torna la vita»- Corriere.it
Gli esemplari di alga Cystoseira appartenenti a questa specie, insieme a quelli di molte altre specie del genere , sono particolarmente sensibili all’inquinamento e pertanto scompaiono facilmente dove vi siano alterazioni dell’ambiente marino. Sono soprattutto sensibili ad agenti inquinanti che si trovano in superficie come idrocarburi e detersivi tensioattivi.
Per questo motivo il loro monitoraggio fornisce indicazioni sullo stato dell’ambiente circostante.
Cystoseira mediterranea una specie tipicamente mediterranea che si trova lungo le coste rocciose.
In generale questa specie è presente in acque del Mar Mediterraneo Occidentale e nella fascia centrale. È stata osservata in Spagna e alle Baleari, in Grecia, Turchia e a Cipro. Lungo le Coste Nordafricane è stata osservata in Marocco, Algeria,Tunisia ed Egitto. In Italia è segnalata nel mare meridionale. Tirreno Centro Meridionale e Mare Ionio (Sardegna, Golfo di Napoli, Coste Siciliane).
Fonte Wikipedia
Il progetto si chiama “Metamorfosi”, come quelle letterarie di Ovidio, come quelle personali e umane su cui lavorano i detenuti in carcere, proprio come quella da realizzare in un Paese diverso da quello di origine, ambita dai migranti.
Ed è questo, in breve, che si propone di fare nel carcere milanese di Opera, il progetto “Metamorfosi” promosso dalla Fondazione Casa dello Spirito e delle Arti, in collaborazione con il ministero dell’Interno, l’Agenzia delle Accise, Dogane e Monopoli e la Casa di Reclusione Milano-Opera.
dieci barconi di quelli che nei mesi scorsi sono approdati dal Nord Africa in qualche modo sulle coste di Lampedusa, sono stati affidati per la loro metamorfosi alla Fondazione dal Ministero dell’Interno e trasportati nel carcere di Opera.
«Da oggi vengono messi a disposizione del laboratorio di liuteria e falegnameria del carcere gestito da persone che stanno scontando la pena, e che lavoreranno per costruire strumenti dal potente significato simbolico: violini, viola e violoncelli verranno poi prestati ad orchestre italiane e straniere ed artisti di fama che li utilizzeranno per concerti in tutto il mondo», racconta il filantropo, scrittore e poeta Arnoldo Mosca Mondadori, co-fondatore della Casa con Marisa Baldoni. presidente della Fondazione.
la Fondazione lavora da molti anni con la musica come strumento di dialogo – è del 2011 la donazione di violini a un gruppo di ragazzi rom, diretti in concerto da Battiato in persona –, il suo lavoro con la liuteria nasce da un esperimento.
Metamorfosi ha in sé diverse linee operative.
Oltre al lavoro che verrà realizzato da chi svolge fa parte del laboratorio in carcere, prevede la nascita dell’Orchestra del Mare, e attività di sensibilizzazione nelle scuole: uno dei barconi non sarà trasformato in strumento musicale ma resterà nel cortile del carcere «e organizzeremo delle testimonianze con persone che hanno avuto esperienze migratorie per i ragazzi che vengono in carcere a conoscere la realtà del laboratorio di falegnameria», aggiunge Arnoldo Mosca Mondadori.
Un primo “violino del mare” è stato già realizzato dal maestro liutaio Enrico Allorto, insieme alle persone detenute assunte nel laboratorio dalla Cooperativa Casa dello Spirito e delle Arti, che lavora in stretta sinergia con la Fondazione. Lo strumento ha iniziato il suo viaggio il 4 febbraio scorso, Carlo Maria Parazzoli, primo violino dell’Orchestra Nazionale dell’Accademia di Santa Cecilia, ha suonato davanti al pontefice la composizione “Canto del legno”, scritta per l’occasione da Nicola Piovani. I
Accanto alla liuteria, nel carcere di Opera è attiva anche la falegnameria guidata da Francesco Tuccio, l’artigiano che ha realizzato la Croce di Lampedusa con i legni dei barconi affondati. Nella falegnameria, con gli stessi legni sono stati creati dei presepi, donati a chiese italiane e straniere.
Potrebbe essere un gesto demagogico o per far tacere la coscienza. Potrebbe.
Io penso che accende un riflettore sulla parola accoglienza che è ormai di moda e basta E sul significato di accoglienza che proprio per Lampedusa e per tutte le coste italiane è salvare come si può esseri umani che per loro è l’ultima spiaggia.
Per non dimenticare che non bastano le parolone e che pochissimo è stato fatto nel mondo. E impedire nel nostro piccolo che per demagogia o per mania di protagonismo si accrocchino provvedimenti per non affrontare i veri motivi. .
Non dobbiamo portare il pesce ma insegnare a pescare! E ho detto tutto!
……
Il gatto era uno straordinario gatto-leone, uno spettacolo ed una meraviglia della natura. Grosso, forte, attento e sospettoso. Il grande faccione ed il pelo fulvo e rossiccio incolto e scarmigliato, a raggiera, conseguente ad una esistenza selvaggia, faceva pensare all’apparizione di un essere extraterrestre. Gli occhi grandi e color verde smeraldo, inquisitivi e diretti, di una sua consapevole regalità superiore e sprezzante appartenente ai dominatori del Creato, trasmettevano il suo pensiero e la sua storia.
Il gatto era il signore delle terre emerse e degli oceani del mondo. Già da tempo aveva deciso di visitare tutti i continenti alla ricerca forse di una anima gemella che potesse essere all’altezza delle sue non comuni caratteristiche di dominatore. Con tale disegno esistenziale nella propria testa aveva scoperto che le navi mercantili si prestavano alla perfezione per il raggiungimento di quest’obiettivo. Il gatto pertanto divenne marinaio ed imparò ben presto a conoscere i vari tipi di navi.
Egli imparò a distinguere i leviatani del mare dalle navi più piccole, le navi più popolate da quelle apparentemente deserte, le grandi petroliere dalle navi da carico generale. Spinto dalla sua naturale diffidenza per il proprio simile e consapevole della pericolosità del diventare schiavo dell’uomo che lo avrebbe “civilizzato” annullando la sua indipendenza, egli sceglieva con cura le navi che andavano in lontani continenti dove si poteva più facilmente nascondere e condurre la sua vita di selvaggio ma padrone di sè stesso, attento solo alla sua sopravvivenza.
Fu così che un giorno il gatto decise di imbarcarsi su un leviatano del mare. Il leviatano, con minerale di ferro e carbone dagli Stati Uniti e dal Brasile andava in Giappone da dove proseguiva per l’Australia ove caricava carbone per le acciaierie dell’Inghilterra. Questo leviatano era una nave cosiddetta “ore and oil” cioè si adattava al trasporto di minerale, carbone, altri carichi alla rinfusa e petrolio, a seconda delle circostanze. Il suo scafo cioè conteneva chilometri e chilometri di tante tubazioni, in coperta e sul fondo, che offrivano infiniti nascondigli ove il gatto poteva rimanere tranquillo ed indisturbato nella sua scelta di vita.
Non si riuscì mai a capire dove il gatto avesse timbrato il suo cartellino d’imbarco ma doveva essere stato o il Giappone o l’Australia, visto anche il suo comportamento, per così dire, poco “europeo”.
Il primo ad accorgersi che c’era una presenza extra a bordo fu il cuoco quando si accorse che le fettine di carne, che lui lasciava in cucina per la notte ad uso facoltativo degli stomaci del personale smontante dai servizi di guardia notturni, avevano invece trovato altri sconosciuti consumatori. Finchè un giorno il gatto fu avvistato fra un meandro ed un altro delle tubazioni del leviatano in tutta la sua avvenenza, maestosità e audacia.
Il gatto pian piano iniziò a monopolizzare l’attenzione delle anime a bordo che cercarono invano di stabilire una pur minima forma di amicizia o di relazione. Egli rimaneva sempre nascosto e usciva solo la notte per cibarsi delle prelibatezze che il cuoco ora gli lasciava generosamente in un piatto in coperta, fuori della cucina. Raramente usciva per una passeggiata diurna in coperta, ma scappava appena incontrava un essere umano sulla sua strada. Fu durante questi fugaci incontri che le anime a bordo realizzarono lo splendore di questo fantastico ed inconsueto felino.
Mentre il leviatano solcava gli oceani verso la sua destinazione, la presenza del gatto a bordo iniziò a suscitare l’attenzione e la preoccupazione del capitano perchè il Paese dove si era diretti non permetteva l’ingresso di animali, cani o gatti, e gli inglesi erano particolarmente ligi a questa loro regola di immigrazione intesa a preservare la flora e la fauna naturale ed incontaminata della loro isola. Qualsiasi eccezione a questa regola doveva essere soggetta a quarantena. Il problema che il capitano non riusciva a risolvere era quindi quello di tenere sotto custodia il gatto in modo che all’arrivo egi fosse stato in grado di dichiarare e mostrare il gatto alle autorità sanitarie. Ma come si faceva a mostrare qualcosa che era nascosto chissà dove fra i chilometri di tubazioni???
Ed il capitano non amava rischiare presentandosi senza dir niente perchè se malauguratamente durante la sosta in porto qualcuno avesse notato il gatto non dichiarato a bordo egli, il capitano, avrebbe potuto incontrare serie difficoltà con le autorità sanitarie che sono le più importanti per essere la prima autorità a dare il permesso di accesso al Paese. Inoltre il marconista, o radiotelegrafista, del leviatano del mare era un inglese di cittadinanza inglese e chi poteva giurare che non avrebbe riportato comunque la presenza del gatto alle dette autorità???
Dopo notti insonni alla ricerca della soluzione di questo rebus che gli girava per la testa, il capitano si convinse che era necessario approntare un piano d’azione per catturare il gatto e tenerlo sotto custodia vigilata al fine di poterlo mostrare quando necessario. Il capitano chiamò il carpentiere, gli spiegò il problema e gli commissionò la costruzione di una gabbia speciale. Il carpentiere si mise all’opera e dopo qualche giorno completò quanto richiestogli.
La gabbia era di forma cubica, gli spigoli di circa un metro e mezzo, dall’intelaiatura di legno e le facciate composte di robusta rete metallica. Una delle facciate della gabbia era scorrevole, si poteva alzare ed abbassare per permettere il libero ingresso nella stessa gabbia. La gabbia fu posizionata al centro della boccaporta poppiera, proprio sotto e davanti al ponte di comando una decina di metri più in alto. Una cordicella, o sagola, prolungantesi dalla plancia, era legata alla porta della gabbia per mantenerla sollevata ed aperta, mentre il piatto con le prelibatezze del cuoco fu spostato dentro la gabbia.
Per qualche giorno il gatto, forse sospettando che qualcosa non andava per il verso giusto, non si fece vivo. Poi un giorno, verso l’alba, il marinaio di vedetta intravide il gatto che, furtivo, si dirigeva verso il piatto dentro la gabbia. Mollò la sagola, la porta scivolò per chiudersi ma non tanto velocemente da impedire la fuoriuscita del gatto che, dopo essere rimasto per alcuni momenti incastrato sotto il battente, si divincolò con la sua grande forza ritornando nel suo nascondiglio. L’attesa ricominciò ed a tre giorni dall’arrivo il gatto ritormò e questa volta si lasciò intrappolare nella gabbia.
Non si saprà mai cosa passò nelle menti del gatto e del capitano ma fatto è che il gatto, con quest’ultimo avvenimento, risolse tutti i problemi del capitano e questi, forse in segno di riconoscenza ed intravvedendo quali fossero le reali intenzioni e programmi del gatto, dopo la partenza dall’Inghilterra, con il leviatano diretto verso terra americana, lo liberò dalla gabbia lasciandolo alla sua preferita vita selvaggia e solitaria.
All’arrivo in terra americana, mentre il leviatano si avvicinava lentamente al pontile, le anime a bordo all’improvviso videro il gatto sul “capodibanda” pronto a saltare. Ad alcuni metri dal pontile il gatto scattò in un salto prodigioso e, una volta atterrato, si lanciò in una corsa sfrenata fino a perdita d’occhio.
Forse sapeva di aver ritrovato la sua terra originale dove c’era la sua Pocahontas che l’attendeva da sempre per sempre.
Dal Diario di Bordo del Capitano delle Stelle
Siete degli amanti appassionati del mare, pronti a trascorrere tutte le vostre vacanze a due passi dall’acqua?

Molte sono le prove scientifiche che l’autore, Wallace J. Nichols, porta a sostegno della sua tesi: andare al mare non solo fa bene, ma è necessario per la nostra mente.
Il titolo, dicevamo: “Blue Mind: The Surprising Science That Shows How Being Near, In , On, Or Under Water Can Make You Happier, Healthier, More Connected, And Better At What You Do” (“Mente Blu: la scienza sorprendente che mostra come stare vicino, sopra, dentro o sotto l’acqua possa renderti più felice, più sano, più connesso e migliore in ciò che fai”).
Il volume raccoglie oltre dieci anni di ricerca scientifica che dimostrano come la vicinanza all’acqua stimoli il nostro cervello al rilascio di sostanze chimiche collegate alla felicità, come dopamina, serotonina e ossitocina.
Per il bene delle nostre “menti blu”, abbiamo riassunto qui sotto cinque teorie dal libro di Nichols.
1) L’acqua ci riporta al nostro stato naturale
Siamo connessi all’acqua fin dal principio della nostra vita. Il corpo dei bambini è composto per il 75% da acqua. Invecchiando, diventiamo più secchi (solo il 60%), ma il nostro cervello è ancora acqua per tre quarti e le nostre ossa per il 31%.
Il cervello, che si trova nella nostra testa nella forma di un “fluido cerebrospinale chiaro e privo di colore”, reagisce con piacere all’acqua perché – come scrive Nichols – “i nostri antenati vennero fuori dall’acqua ed evolsero le loro capacità dal nuotare allo strisciare fino al camminare. I feti umani, nelle prime fasi di sviluppo, hanno ancora strutture simili a fessure branchiali”, e l’acqua nelle nostre cellule “può essere paragonata a quella che si trova nel mare”.
Questa connessione biologica all’acqua – spiega Nichols – sollecita una risposta immediata nei nostri cervelli. Questo è il motivo per cui, quando vediamo o ascoltiamo l’oceano, sappiamo di essere “nel posto giusto”.
2) Lungo la costa siamo più rilassati
Secondo uno studio citato nel libro, per calmarci a livello subconscio basta anche solo osservare un paesaggio come quello qui sopra. Tramite risonanza magnetica funzionale, gli scienziati hanno notato che guardare immagini di natura fa attivare le parti del nostro cervello associate “a un atteggiamento positivo, alla stabilità emotiva e al recupero di ricordi felici”.
3) Guardare le fotografie fa bene, ma l’acqua nella vita reale fa ancora meglio
Lo stesso discorso vale per la vita reale. Nichols cita uno studio del 2011 in cui una applicazione chiamata Mappiness ha tracciato i livelli di benessere di circa 22mila utenti. Ai partecipanti veniva chiesto di valutare il loro grado di felicità in diversi momenti. Secondo le risposte inviate (più di un milione), non solo le persone erano più serene quando erano all’aria aperta, ma erano più felici del 5,2% quando si trovavano vicino a un corpo d’acqua.
4) L’acqua ringiovanisce le menti stanche
Al giorno d’oggi, con tutta la tecnologia che ci circonda, il nostro cervello ha ancora più bisogno di ricaricarsi. Secondo Nichols, in questo nulla può superare l’acqua.
In questo caso il riferimento è a uno studio del 1995 pubblicato su Environmental Psychology, in cui si analizza il rendimento e la concentrazione di due gruppi di studenti: uno a cui erano state assegnate stanze con viste più paesaggistiche (alberi, laghi, prati) e un altro a cui erano state date stanze su vedute più urbane. Il primo gruppo non solo aveva risultati più brillanti, ma dimostrava anche una maggiore capacità di attenzione funzionale.
5) Il blu dà sollievo
A quanto pare il blu è anche il colore preferito del mondo. L’autore cita un progetto di ricerca del 2003, in cui è stato chiesto a 232 persone in tutto il mondo di indicare il proprio colore preferito. Ancora una volta, il blu.
Nichols non si mostra per niente sorpreso: siamo evoluti in un pianeta che è principalmente fatto di sfumature d’acqua e cielo blu, è comprensibile che il nostro cervello sorrida di fronte a questo spettacolo.
Fonte:
Assolutamente d’accordo che mi sono trasferita al mare da cinque anni e mi sento più viva!
leggere che passione!
Leggere, per quanto ci riguarda, rimane infatti il modo migliore di occupare il tempo mentre ci si rosola al sole di agosto.
E se on line abbondano i consigli di lettura e le liste più o meno tematiche di titoli perfetti per ombrellone e sdraio ,può sempre succedere che l’incauto turista dimentichi a casa il tomo amorevolmente scelto o, ma solo per chi non ha scelto di leggere Il cardellino, resti «a secco» a metà vacanze.
Anche per questo motivo sono ormai un fenomeno assai diffuso le biblioteche da spiaggia che, come nel caso di quella promossa in Bulgaria da un resort sul Mar Nero, possono arrivare a contare su patrimoni decisamente variegati e interessanti
Quella di Albena Resort è la prima biblioteca sulla spiaggia in Europa, la terza nel mondo. Situata vicino al celebre hotel Kaliopa, conta oltre 2500 volumi disponibili in oltre dieci lingue.
La struttura della biblioteca è lunga oltre 12 metri e conta 140 scaffali in grado di contenere oltre 4000 libri.
“Gli scaffali della biblioteca sono costruiti con materiali resistenti al vento forte e al sole battente. In caso di pioggia i libri vengono coperti con appositi supporti di modo che non corrano il rischio di rovinarsi”
Ciascuno scaffale è contrassegnato da una bandiera nazionale che serve ad indicare la lingua in cui sono scritti i libri.
I turisti possono prendere in prestito i libri senza dover essere in possesso di alcuna tessera. Se non riescono a terminare la lettura durante la vacanza possono tenere il libro e metterne sullo scaffale della biblioteca uno nuovo, di modo che l’offerta sia sempre varia
La biblioteca della spiaggia di Albena è molto frequentata dai turisti stranieri che da tempo condividono sui social le informazioni sull’iniziativa.
Molti hanno donato i libri che hanno finito di leggere prima di lasciare il resort.
Riva Trigoso
In Italia le biblioteche da spiaggia sono ormai una realtà diffusa: ve ne sono in provincia di Rimini (dove a Misano Adriatico è attivo il progetto Libri A-Mare rivolto ai più piccoli e a Cervia con la storica biblioteca balneare ospitata all’interno della kermesse La spiaggia ama il libro), a Pesaro (con Biblioteche fuori di sé che sfrutta i libri di riciclo), a Follonica (dove alcuni bagni offrono, insieme allo sdraio, un libro da restituire al tramonto), a Trani (dove BiblioApeCar, un servizio bibliotecario itinerante promosso dal comune, farà tappa in alcuni stabilimenti balneari per effettuare il servizio di prestito e svolgere attività di promozione della lettura) e nelle spiagge del Cilento (dove è attiva l’iniziativa Librerie da Spiaggia promossa da Legambiente Castellabate), solo per citarne alcune.
Ma le biblioteche balneari hanno preso parecchio piede nel mondo: dalla costa francese a quella andalusa, dalla Bulgaria a Israele abbiamo raccolto alcune immagini di biblioteche itineranti che vi riproponiamo si seguito.
Arriva dalla Bulgaria la prima biblioteca sulla spiaggia
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Se nessuno ti vede mentre lo mangi, quel dolce non ha calorie.
Le belle parole dei saggi e dei poeti di tutto il mondo mi aiutano spesso a dire quello che non so esprimere
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