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Questo è il mese dei fichi !( e li trovi anche a settembre ancora più dolci)
Platone era un grande divoratore di fichi, diceva che fanno aumentare l’intelligenza.
Se penso a quanti fichi ho gustato nella mia vita! Sì gustato, che secondo me è impossibile che non ti venga l’acquolina in bocca quando apri questo frutto, carnoso, profumato e vivacemente colorato.
Se poi ti piace la marmellata di fichi è la più semplice : li fai in quattro e li butti in un pentolone per qualche ora con una buccia di limone! Io ne ho fatta chili e chili! E pure mangiata…con gusto! Sarò più intelligente?
Albero e frutto sacro, il fico è l’emblema della vita, della luce, della forza e della conoscenza. Nella tradizione antica il fico riveste quindi un significato di immortalità e di abbondanza. Esso rappresenta anche l’asse del mondo, che collega la terra al cielo.
Leggiamo infatti nel racconto biblico Genesi 3,7:
“Allora si aprirono gli occhi di tutti e due e si accorsero di essere nudi; intrecciarono foglie di fico e se ne fecero cinture.”
Il Signore Iddio aveva piantato l’Albero della Conoscenza del Bene e del Male al centro del giardino dell’Eden, ordinando ad Adamo ed Eva di non mangiarne i frutti se non volevano morire.
La narrazione biblica del peccato originale e della cacciata dall’ Eden si legano al misterioso frutto, che Eva raccolse su invito del serpente ed offrì ad Adamo.
Di quale frutto poteva trattarsi?
Durante tutto il medioevo si conosceva ancora l’identità del frutto in questione: si trattava di un fico, quel dolce frutto estivo che fin dall’antichità si legava all’idea di fertilità, abbondanza e sessualità.
L’albero della conoscenza del bene e del male era dunque un albero carico di fichi, e non di mele, come confermato da molte opere d’arte di età medievale. Osservando ad esempio i rilievi che Lorenzo Maitani scolpì sulle lastre di marmo che oggi rivestono la facciata del duomo di Orvieto, non vi è alcun dubbio che le foglie e i frutti dell’albero incriminato rappresentati nei minimi dettagli sono di un fico.
La stessa pianta torna in due scene nel ciclo della Genesi: in una si vede Dio con il dito puntato verso Adamo ed Eva mentre ordina loro di non mangiare frutti dall’albero al centro del giardino. Nella seconda si vede lo stesso albero sul cui tronco è attorcigliato un serpente, mentre Eva tende il braccio verso quello di Adamo per offrirgli il fico che avrebbe resi entrambi simili a Dio.
Le tracce storiche del fico sembrano risalire al VI secolo a. C. e ancora oggi possiamo trovare rappresentazioni pittoriche degli stessi fichi nei nostri patrimoni storici (La Villa di Poppea-Scavi di Oplonti-Torre Annunziata).
Nell’antica Grecia, era l’albero sacro ad Atena, dea della saggezza e a Dioniso dio del vino, e a Priapo, dio lubrico della fecondità.
Il titano Sykèus, (da syke, fico), per sottrarsi a Zeus che lo stava inseguendo, si sarebbe rifugiato presso la madre Gea, la terra. Questa avrebbe poi fatto sorgere dal suo grembo l’albero che ricorda il nome del suo figlio.
Nell’antichità era proibito esportare fichi considerati un prodotto di prima necessità, e, se frutto di alberi sacri, veniva reputato un sacrilegio.
In Grecia, in certi culti agrari primitivi, esisteva la “rivelazione del fico”, come culto di iniziazione ai segreti della fecondità.
Ad Eleusi, una cittadina vicina ad Atene, sede di un famoso tempio dedicato alla dea Demetra, non poteva mancare il fico sacro, protetto da un portico, come narra Pausania (110-180), scrittore e geografo greco.
“In questa località dicono che Fitalo abbia accolto nella propria casa Demetra e che la dea, in cambio dell’ospitalità, gli abbia donato la pianta di fico. A quanto io dico rende testimonianza l’epigramma che è inscritto sulla tomba di Fitalo: – Qui il signore, eroe Fitalo accolse un tempo la veneranda Demetra, quando per la prima volta ella fece spuntare il frutto della tarda estate, che il genere umano chiama sacro fico: da allora la stirpe di Fitalo ebbe onori immortali -.” (Pausania,Viaggio in Grecia, I, 37, 2) (32)
Si narra che a Platone, essendo un grande estimatore dei fichi, venne dato il nome di “mangiatore di fichi”; inoltre egli sosteneva che cibarsi di fichi contribuiva ad accrescere l’intelligenza.
Anche Plinio si era dimostrato sensibile alle virtù dei fichi ed infatti era solito affermare che mangiare fichi aumentava la forza dei giovani e manteneva la salute degli anziani.
Plutarco narra, riguardo alle origini di Roma, che la cesta con Romolo e Remo, destinati a morire come frutto illegittimo della vestale Rea Silva, non fu trascinata dalla corrente del Tevere, ma si arenò miracolosamente in un’insenatura fangosa, sotto un fico selvatico dove vennero nutriti dalla lupa. La pianta divenuta sacra, in quanto riferita a Marte, padre dei gemelli, era diligentemente curata dai sacerdoti del dio che provvedevano alla sostituzione della pianta ogni volta che questa moriva.
Il fico inteso come albero, nella tradizione ebraica, rappresenta il popolo di Israele. Il fico, inteso come frutto allora rappresenta la legge che il popolo di Israele genera, cioè la Torah che significa legge. Allora la stagione dei fichi è la stagione delle leggi e delle sentenze, cioè il tempo del giudizio.
L’albero di Bodhi (fico sacro, lat. Ficus religiosa), quell’albero, sotto il quale il Buddha ha vissuto il Bodhi (“Illuminazione” o “Risveglio”). Il simbolo dell’albero ha in parte origine anche nei culti pre-buddhisti della fertilità e nell’“Albero della vita“. A volte viene anche raffigurato un trono vuoto sotto all’albero, che, come l’albero stesso, dovrebbe ricordare il risveglio del Buddha.
L’albero della Bodhi è un grande e molto antico fico sacro ,collocato all’interno dell’area in cui oggi sorge il Tempio di Mahabodhi, a Bodh Gaya. Il fico sacro, di cui l’albero di Bodhi è un esemplare, è sacro a induisti, giainisti e buddhisti
Nella mitologia egizia ci si riferisce al sicomoro (Ficus sycomorus); in Egitto si narra che la rinascita di Osiride avviene quando le zolle alla base del sicomoro sacro cominciavano a coprirsi di germogli di grano ed orzo. Il fico sicomoro era insomma considerato un albero cosmico, simbolo di immortalità, di rinascita dalla distruzione. Il suo succo, inoltre, era prezioso perché si riteneva donasse poteri occulti e il suo legno era usato per la fabbricazione dei sarcofagi: seppellire un morto in una cassa di sicomoro significava reintrodurre la persona nel grembo della dea madre dell’albero, facilitando così il viaggio nell’aldilà.
Nel Libro dei Morti, il sicomoro è l’albero che sta fuori dalla porta del Cielo, da cui ogni giorno sorge il dio sole Ra. Esso inoltre era consacrato alla dea Hathor, chiamata anche la “dea del sicomoro”: Dea madre, feconda e nutrice, Hathor abita gli alberi ed è la “signora del sicomoro del sud”, a Menfi; ma è anche la “signora dell’Occidente”, ossia la signora del regno dei morti.
Nel mondo islamico il fico è ritenuto dotato di una certa baraka (letteralmente “benedizione”, intesa nel senso di “potenza spirituale”). Esso infatti si conserva assai bene secco senza bisogno di alcuna aggiunta di sale o spezie. Il fico non manca mai nei rituali di nozze berberi e campagnoli
La novantacinquesima Sura del Corano viene chiamata “Il fico” (At-Tîn) inizia evocando il fico e l’olivo: “Per il fico e l’olivo/ per il monte Sinai/ e per questa contrada sicura!/ Invero creammo l’uomo nella forma migliore,/ quindi lo riducemmo all’infimo dell’abiezione/ eccezion fatta per coloro che credono e fanno il bene: avranno ricompensa inesauribile./ Dopo di ciò cosa mai ti farà tacciare di menzogna il Giudizio?/ Non è forse Allah il più Saggio dei giudici?”.
In India il Ficus bengalensis ed il Ficus religiosa sono ritenuti gli alberi sacri rispettivamente di Visnu e Shiva. In molte tradizioni (ed in particolare sempre in India) sulle sue radici si acciambella il serpente, simbolo che esprime la forza fecondatrice per eccellenza (e la stessa energia-coscienza dell’essere umano– kundalini– non è forse rappresentata come un serpente che si attorciglia attorno alla colonna vertebrale –albero cosmico- a mò di caduceo?).
Nell‘oroscopo degli alberi chi nasce nel periodo del FICO (dal 14 al 23 Giugno e dal 12 al 21 Dicembre) è un individuo molto forte, un po’ testardo, indipendente, non tollera le contraddizioni né le controversie, adora la vita, la sua famiglia, i bambini e gli animali, un po’ volubile con gli altri, ha un buon senso dell’umorismo, ama l’ozio e la pigrizia, possiede talento ed un’intelligenza pratica. Per saldare il loro carattere i nati in questo periodo hanno molta fiducia nella famiglia e nei suoi affetti in modo da poter anche attenuare il loro comportamento autoritario. Per frenare la loro prepotenza devono accompagnarsi a persone gentili e miti come i Pini e le Betulle che possono riuscire a costringerli a mostrare la loro gentilezza.
Del resto:
Platone diceva che fanno aumentare l’intelligenza….…
fonti :
http://www.evus.it
http://www.istitutopontevaltellina.it
http://www.mr-loto.it
http://www.ficusnet.it
http://damaimandra.beepworld.it/
http://www.puntosufi.it/
http://www.tanogabo.it/fico.htm
La storia della Stella Tessitrice (Vega) e del Guardiano di Buoi (Altair)
Alfa Lyrae, la brillantissima Vega, è la stella di questo mese
Io sono curiosa e sono certa che ogni cosa che è lì ha un suo perchè. E una storia. E anche ogni esperienza ha un significato . Che voglio sapere e imparare.
E mi interessano i punti di vista. Che dipendono da tante variabili.
Tempo luogo coscienza. Anni fa ho comprato una enciclopedia di storia comparata..
Tutti vedono le stesse cose sotto lo stesso cielo nello stesso momento.
Tutti chi? Tutti gli esseri umani e pensano e fanno cose diverse da sempre.
Quando? Dove ? Come? Perchè?
Ne ho fatto un gioco a scuola per far conoscere le storie del mondo.
Ognuno ha le sue domande e le sue risposte. Ci si confronta e si impara.
Questa storia di una cultura così lontana ma vicina mi è piaciuta.
Vega appartiene alla costellazione della Lira e insieme a Deneb e Altair forma il famoso “Triangolo estivo”. Alle nostre latitudini è uno degli astri più sfolgoranti, insieme a Sirio, di cui sembra meno brillante solo perché più distante, 27 anni luce, e ad Arturo, di cui sembra invece più brillante perché di intenso colore bianco; Vega è 58 volte più luminosa del Sole.
Fu la prima stella a essere fotografata, all’Osservatorio di Harvard, nel luglio 1850 e il suo diametro uno dei primi ad essere misurato, nel 1963, con l’interferometro di Narrabri, in Australia.
Il suo nome ha origini arabe; gli Arabi immaginarono questa costellazione come un’aquila, dalle ali semichiuse, che porta uno strumento musicale, e la chiamarono Ai Nasr al Waki.
Nel tempo la costellazione fu vista sempre come una lira, e la parola Waki, trasformata in Vega, passò ad indicare la sua stella principale. Circa 14.300 anni fa Vega è stata “stella polare” e tornerà ad esserlo fra circa 12.000 anni, e questo a causa del movimento di precessione dell’asse terrestre.
Vega era dunque una stella importante già nell’antichità e certamente nella preistoria essa veniva usata come indicatore del nord. Ciò forse spiegherebbe come mai Vega fu usata dagli antichi Egizi per l’orientazione dei loro templi.
La storia di Niulang e Zhinu:
la Stella Tessitrice (Vega) e il Guardiano di Buoi (Altair)
Zhinu, figlia dell’Imperatore e della Regina del Cielo, era una bravissima tessitrice. Sedeva ogni giorno accanto al suo telaio celeste e tesseva splendidi arazzi con i colori dell’alba e del tramonto. Anche le nubi, nel loro correre sospinte dal vento, si fermavano per ammirare gli splendenti colori nel cielo.
Un sera d’estate, stanca per il lavoro, mentre osservava un ruscello che scorreva vicino al palazzo imperiale, udì da lontano provenire una musica dolcissima. Incuriosita non esitò ad immergersi nelle acque del fiume. Disteso sull’altra sponda il giovane Niulang suonava il flauto riposandosi dalle sue fatiche di guardiano di buoi. I due giovani si conobbero e cominciarono a suonare e cantare insieme.
Ogni giorno Zhinu attraversava il fiume e raggiungeva Niulang. Finirono così per innamorarsi. Per il suo matrimonio Zhinu preparò un bellissimo abito fatto di gocce di rugiada e della luce delle stelle. La notte delle loro nozze era così luminosa che anche le persone che vivevano sulla terra si chiedevano il perchè la Stella Tessitrice avesse un tale splendore che non si era mai visto prima.
Furono sposi talmente felici che dimenticarono completamente il proprio lavoro !
Il cielo si offuscò perchè Zhinu non tesseva più luminosi tramonti ed albe ed il suo telaio era ricoperto di ragnatele. Niulang non custodiva più i suoi buoi che girovagavano senza controllo addentrandosi perfino nella costellazione vicina dello “Staio Settentrionale e Meridionale” facendo così adirare gli dei.
In particolare la Regina del Cielo, madre di Zhinu, si infuriò moltissimo poichè un bue era entrato nella sua camera da letto ed aveva fatto cadere sul pavimento le sue spille d’argento per i capelli. La Regina allora prese una spilla e disegnò una linea attraverso il cielo lungo il ruscello vicino al palazzo. Con questo unico gesto creò un grande fragoroso Fiume d’Argento, il nome che i Cinesi danno alla Via Lattea. La Regina del Cielo decise di separare i due giovani e pose Niulang su una riva del fiume e Zhinu sull’altra.
Zhinu, disperata, piangeva dal mattino alla sera, ma ricominciò a tessere le sue splendide tele. Niulang riprese nuovamente a portare al pascolo i suoi buoi, ma era profondamente triste e nei momenti di riposo non suonava più il suo flauto.
L’Imperatore del Cielo, impietosito dalla disperazione della figlia, decise che un giorno all’anno, il settimo giorno del settimo mese, i due sposi avrebbero potuto incontrarsi. Zhinu chiamò allora in suo soccorso delle gazze che arrivarono in volo dalla terra e formarono un ponte (sopra la stella Deneb nella costellazione del Cigno) attraverso il vasto e profondo Fiume Argentato. Zhinu saltò sulle loro schiene, come un tempo era saltata sulle pietre affioranti nel ruscello per raggiungere l’amato, e trascorse con Niulang un’ intera giornata insieme.
Le persone che vivono sulla Terra, quando il giorno seguente all’incontro dei due innamorati scorgono le gazze, possono notare le loro penne arruffate, segno che la Principessa Tessitrice è saltata sulle loro schiene.
Durante il resto dell’anno Zhinu intreccia i colori del cielo e Niulang pascola i buoi celesti, sognando il giorno in cui potranno incontrarsi di nuovo.
La storia della Principessa tessitrice e del Guardiano di buoi è molto popolare in Cina. Di essa si trovano diverse versioni con piccole varianti nella trama.
In alcune città della Cina ci sono ancora alcune feste dedicate alla Principessa Tessitrice. Esse si tengono nel settimo giorno del settimo mese lunare del calendario cinese (chiamato Qi Xi /the Night of Sevens) alle finestre vengono appesi drappi di colore rosso (il colore delle nozze) ed in questo giorno si celebrano molti matrimoni.
La seguente trascrizione è a cura della Biblioteca dell’Osservatorio Astrofisico di Arcetri.
L’ottavo mese del calendario lunare è il mese del Re Agrifoglio !
Mi piace scandire il tempo secondo il calendario lunare. E poi in questo ottavo mese c’è il mio compleanno! E poi solo la parola “agrifoglio” mi rinfresca! Penso all’atmosfera dicembrina, al vento pungente dell’inverno,ai profumi delle caldarroste, alle vibrazioni natalizie… e qui al mare al silenzio dei pesci che vanno in letargo ( forse?) A volte basta una parola …
“Ed ecco l’agrifoglio che è così generoso:
compiacere tutti è il suo intento
ad eccezione di lords e ladies, distaccati da tutto questo,
chiunque inveisca contro l’agrifoglio
d’un balzo sarà appeso su in alto. Alleluia.
Chiunque canti contro l’agrifoglio
Può piangere e torcersi le mani”
Secondo il calendario celtico, l’agrifoglio rappresenta l’ottavo mese dell’anno , Tinne (8 Luglio – 4 Agosto), che comprende la festa celtica di Lughnassadh (Lammas) celebrata il 1° agosto.
Nella tradizione, l’agrifoglio è conosciuto con molti nomi diversi, tra i quali ricordiamo: Hulver, Marruca, Albero degli Spiriti …
Il “Calendario degli Alberi”, usato presso i popoli celti, fissava una certa corrispondenza tra numerose serie di elementi: gli alberi, le lettere dell’alfabeto, i mesi lunari dell’anno, parti del corpo umano,metodi di guarigione e dei.
I sacerdoti celti, i Druidi, utilizzavano le piante anche per scopi magici e terapeutici e il ciclo di 13 alberi corrispondeva alle 13 energie arboree alle quali si associavano anche elementi divinatori che operavano come genii protettori cui rivolgersi in cerca di forza, fortuna o buoni consigli.
Ailm ( abete rosso)
Idho (tasso)
Queste due vocali aprivano e chiudevano l’anno lunare.
Le altre vocali erano adibite a simboleggiare i due equinozi e l’altro solstizio:
Onn, la ginestra, per l’equinozio di primavera,
Eadha, il pioppo bianco, per l’equinozio d’autunno
Ura, il brugo, per il solstizio d’estate.
Le prime tracce del Re agrifoglio risalgono al XII secolo.
Era la trasposizione dell’antica entità chiamata “ Uomo Verde. “.
Capace di donare la fertilità della foresta e delle piante alle donne e al bestiame, l’Uomo Verde è il consorte della Dea madre e si occupa della fioritura della primavera e dell’estate, del rigoglio della terra.
Il volto e i lineamenti dell’Uomo Verde sono formati da foglie e rampicanti.
Trae il vigore dalla terra stessa e rappresenta il ruolo maschile nell’unione sessuale,nella fertilità e nella fioritura della vita e del talento degli uomini. Rappresenta l’innocenza, il procedere senza difficoltà e il successo, soprattutto nell’intraprendere nuove attività.
Considerata dalla tradizione magica pianta di genere maschile perché collegata all’elemento fuoco e al pianeta Marte. Per questo motivo, se era portata addosso, la pianta avrebbe donato fortuna soprattutto agli uomini (il corrispondente femminile è l’Edera). Le si attribuivano protezione, sogni magici e il potere contro il fulmine.
Era considerata la pianta protettiva per eccellenza, capace di difendere e proteggere dai fulmini, dai veleni, dagli spiriti cattivi e dagli stregoni malvagi se veniva piantato intorno alla casa. Se invece si lanciava l’Agrifoglio contro una bestia feroce, questo aveva la facoltà di calmarla immediatamente, anche se l’animale non veniva colpito.
L’acqua di Agrifoglio (infuso o distillato) era spruzzata sui neonati in segno di protezione.
Una ballata medievale dell’Inghilterra, dove l’ agrifoglio è ancora il sempreverde più utilizzato a Natale, ne difende la tradizione: “Chi parla male dell’agrifoglio”, in un baleno verrà impiccato. Alleluia!”
L’origine dell’agrifoglio si ritrova anche in una leggenda dei paesi nordici nella quale si narra che quando Baldur, dio della luce e del sole, morì trafitto da una freccia, cadde proprio su un cespuglio di agrifoglio; allora suo padre, il dio Odino, decise di ricompensare la pianta che aveva ospitato il figlio al momento della morte trasformandola in sempreverde e riempendola di bacche rosse, in ricordo del sangue versato dal figlio.
Un antico rito magico per realizzare un desiderio, consisteva nel raccogliere, dopo la mezzanotte di un venerdì, nove foglie di Agrifoglio nel più completo silenzio, scegliendo una pianta non troppo spinosa. Si dovevano poi avvolgere le foglie in un panno bianco e annodare per nove volte le due estremità del panno. Infine, si riponeva questo sacchetto sotto il cuscino, e quello che si era pensato o desiderato si sarebbe avverato.
L’ agrifoglio rappresenta la sopravvivenza, la speranza, la rinascita.
E’ simbolo di protezione e forza vitale. Appeso sopra le porte impedisce l’ingresso di persone ed energie limitanti.
I nati sotto il segno dell’Agrifoglio hanno questo temperamento che riecheggia il sole: la vitalità, il potere, l’egocentrismo, ma anche la generosità. Nati per comandare, hanno carisma, volontà e autostima da vendere. In amore danno molto: eros, fedeltà e coinvolgimento, ma pretendono altrettanto. Impennate di orgoglio da controllare.
Parola chiave: eroismo
Fonti:
http://www.elfland.it
http://www.daltramontoallalba.it
http://www.inerboristeria.com
Buon anniversario 2 giugno 2025: Il voto delle donne italiane per la Repubblica
IL 1° FEBBRAIO DEL 1945 VIENE RICONOSCIUTO, PER LA PRIMA VOLTA IN ITALIA, IL DIRITTO DI VOTO ALLE DONNE…
A 154 anni dalla “Dichiarazione dei diritti delle donne e delle cittadine” firmata da Olympe de Gouges che purtroppo le valse – nel 1793 – la ghigliottina, in Italia finalmente le donne si poterono recare alle urne.
Una prima volta che assunse una valenza ancor maggiore poiché avvenne in occasione del Referendum del 2 giugno 1946 in cui gli italiani furono chiamati a scegliere fra Monarchia e Repubblica.
Si trattava di un diritto riconosciuto tardivamente nel panorama occidentale; non solo, ma si trattava, in un certo senso, di un diritto “concesso”.
Le Donne italiane votarono effettivamente per la prima volta in occasione delle elezioni amministrative di marzo – aprile 1946 e del successivo Referendum Repubblica-Monarchia del 2 giugno.
La Costituzione garantiva l’uguaglianza formale fra i due sessi, ma di fatto restavano in vigore tutte le discriminazioni legali vigenti durante il periodo precedente, in particolare quelle contenute nel Codice di Famiglia e nel Codice Penale.
In effetti, in Italia, le donne potevano già votare – solo per le amministrative – sin dal 1924. Benito Mussolini sulla carta le aveva riconosciuto il diritto di voto al fine di dimostrare che non temeva l’elettorato femminile, anzi.
Ben diversa, invece, la situazione in altri Paesi: in Nuova Zelanda le donne potevano votare sin dal 1893, in Finlandia dal 1906 e in Norvegia dal 1907.
In Francia, tale decisione venne presa con qualche mese di anticipo, per l’esattezza il 21 aprile del 1944, e con essa anche la possibilità alle donne di essere elette.
Questa data rappresenta non solo la nascita della Repubblica, ma anche l’affermazione della parità di genere nel diritto di voto.
È un giorno per ricordare le conquiste del passato e riflettere sulle sfide ancora presenti.
Tornare al 2 giugno 1946 significa ricordare un momento cruciale nella storia italiana, un momento in cui le donne iniziarono a rivendicare il loro posto nella politica e nella società.
A partire dal quale si crearono le condizioni affinché le donne potessero poi dire “no” e contare davvero, come fecero nel 1974 a difesa del divorzio o nel 1981 in occasione del referendum abrogativo della legge 194.
La storia delle acquisizioni legislative che si dispiega per tappe lungo i decenni ’70-’80 formalmente trova lì la sua origine, la sfida rivolta al piano istituzionale, la volontà di andare più a fondo nei meccanismi sotterranei del potere.
Ma facendo un passo indietro, questo passo segnò il definitivo ingresso della donna come punto di riferimento nella società di allora? La risposta è no.
Il diritto di voto non garantì un diritto di cittadinanza consolidato.
Sul lavoro il cammino fu molto più arduo, attraverso un percorso di emancipazione che arrivò almeno fino al 1963, quando entrarono nella magistratura prendendo possesso di ogni tipo di carica.
Fino ad allora le donne si accontentarono di ruoli “scartati” dall’uomo. Accrebbe sicuramente il numero di insegnanti nelle scuole, a conferma della qualità e della necessità di una formazione al femminile per i propri figli.
Il diritto di voto resterà una pura formalità fino a quando le strutture politiche non saranno popolate da donne libere
Una donna può – anzi deve – essere ambiziosa, cosa diversa dall’esser competitiva.
L’ambizione significa dire “so che sarei capace di…” e uscire dalla corazza di timidezza che inibisce ogni passo avanti.
Non è sufficiente il diritto di voto per sbloccare le libertà sociali. La strada per le pari opportunità è una storia che ancora stiamo scrivendo in salita! e riguarda tutta l’umanità in ogni organizzazione sociale in tutto il mondo!
E non solo le donne, ogni essere umano, di qualsiasi razza, di qualsiasi colore, di qualsiasi sesso, di qualsiasi estrazione sociale, ha gli stessi diritti e gli stessi doveri in quella che chiamiamo pomposamente ” civiltà”
E’ un diritto che è sempre in pericolo e si deve difendere ad ogni età per scelta morale in ogni contesto per far valere la libertà di esistere in armonia e dignità!
Festa della mamma…
Mi piacciono le celebrazioni che richiamano l’attenzione… tutti i giorni!
Mamma è una parola impegnativa che ha infinite sfumature e basta pronunciarla per suscitare grandi emozioni nel sentire universale.
Quando ero piccola coccolavo molto la mia cagnolina che pensavo che le mancava la mamma…E le mormoravo dolci parole e lei si raggomitolava soffice vicina vicina.
Pensavo chissà come chiamano la mamma i cagnolini e anche gli altri animali , che tutti hanno una mamma. Che coccola e insegna.
Oggi voglio rivolgere amore e riconoscenza non solo a tutte le mamme ma a tutte le donne negli infiniti ruoli che svolgono in ogni parte del mondo.
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La festa della mamma è una ricorrenza civile diffusa in tutto il mondo. In Italia come negli Stati Uniti si festeggia la seconda domenica di maggio.
Costituisce una festa molto antica, legata al culto delle divinità della fertilità degli antichi popoli politeisti, che veniva celebrato proprio nel periodo dell’anno in cui il passaggio della natura dal freddo e statico inverno al pieno dell’estate dei profumi e dei colori (e della prosperità nelle antiche civiltà contadine) era più evidente.
Nell’antica Grecia gli Elleni dedicavano alla madre un giorno dell’anno: la festa coincideva con le celebrazioni in onore della dea Rea, la madre di tutti gli Dei.
Gli antichi romani, invece, festeggiavano una settimana intera la divinità Cibele, simbolo della Natura e di tutte le madri.
In Inghilterra le celebrazioni legate alla festa della mamma risalgono al XVII secolo.
Originariamente il “Mother’s Day” non era un’occasione per festeggiare la propria madre con fiori o regali, ma assumeva un significato completamente diverso coincidendo con la quarta domenica di Quaresima. In quell’occasione, tutti i bambini che vivevano lontano dalle loro famiglie potevano ritornare a casa per un giorno. A poco a poco si è diffusa la tradizione di riunirsi a metà del periodo di Quaresima per festeggiare la propria famiglia e soprattutto la mamma, considerata un elemento fondamentale della famiglia.
La tradizione del “Mothering Sunday” sopravvive ancora oggi in Inghilterra,
Negli Stati Uniti nel maggio 1870, Julia Ward Howe, attivista pacifista e abolizionista (della schiavitù), propose di fatto l’istituzione del Mother’s Day (Giorno della madre), come momento di riflessione contro la guerra.
Nello stesso anno negli Stati Uniti ci fu la proposta di Anna M. Jarvis. Anna era molto legata alla madre, un’insegnante della Andrews Methodist Church di Grafton,nel West Virginia.
Dopo la morte della madre, Anna si impegnò inviando lettere a ministri e membri del congresso affinché venisse celebrata una festa nazionale dedicata a tutte le mamme. Questa festa doveva rappresentare un segno d’affetto di tutti nei confronti della propria madre mentre questa era ancora viva.
Grazie alla sua tenacia e determinazione, la prima festa della mamma fu celebrata a Grafton e l’anno dopo a Filadelfia: era il 10 maggio 1908.
Anna Jarvis scelse come simbolo di questa festa il garofano, fiore preferito dalla madre: rosso per le mamme in vita, bianco per le mamme scomparse.
Fu ufficializzata nel 1914 dal presidente Woodrow Wilson e sua moglie Ellen Louise con la delibera del Congresso di festeggiarla la seconda domenica di maggio.
La festa si è diffusa in molti Paesi del mondo, ma cambiano le date in cui è festeggiata.
In Italia è stata introdotta per la prima volta negli anni cinquanta da Raul Zaccari, senatore e sindaco di Bordighera (la cui idea maturò insieme a Giacomo Pallanca, presidente dell’Ente Fiera del Fiore e della Pianta Ornamentale di Bordighera-Vallecrosia), su iniziativa del quale venne celebrata a Bordighera la seconda domenica di maggio del 1956 (al Teatro Zeni e successivamente al Palazzo del Parco).
In Norvegia viene celebrata la seconda domenica di febbraio , in Argentina la seconda di ottobre ; in Francia la festa della mamma cade l’ultima domenica di maggio ed è celebrata come compleanno della famiglia.
In molti Paesi la ricorrenza è stata imitata dalla civiltà occidentale: in Africa, ad esempio, alcuni Stati istituirono la festa della mamma ispirandosi al concetto britannico della stessa.
In generale i simboli di questa festa sono il rosso, il cuore e la rosa, che più di ogni altro fiore rappresenta l’amore e la bellezza e sa testimoniare l’affetto e la riconoscenza dei figli.
Fonte: Wikipedia
Ogni anno al Solstizio d’inverno è la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno. La fine dell’anno passato e l’inizio del nuovo.
Solstizio d’inverno: 21 dicembre
I cicli della natura e i riti per celebrarli mi hanno sempre affascinato. E dato che sono curiosa di trovare significati in ogni cosa mi documento. Da quando vivo al mare vedo l’orizzonte ed è facile seguire il viaggio del Sole avanti e indietro ( ovviamente è la Terra ) Mi emoziono ad ogni tramonto per il tripudio di colori sempre diversi e colmi di significato. Mi piace pensare che ogni sera mi manda un messaggio diretto al cuore .Perchè ovviamente questo è il linguaggio del Sole .Del resto non è forse per amore per la Terra che sta sempre allo stesso posto nell’Universo?
In termini astronomici, in questo periodo il sole inverte il proprio moto nel senso della “declinazione”, cioè raggiunge il punto di massima distanza dal piano equatoriale. Il buio della notte raggiunge la massima estensione e la luce del giorno la minima.
Si verificano cioè la notte più lunga e il giorno più corto dell’anno.
Subito dopo il solstizio, la luce del giorno torna gradatamente ad aumentare e il buio della notte a ridursi fino al solstizio d’estate, in giugno, quando avremo il giorno più lungo dell’anno e la notte più corta.
Il giorno del solstizio cade generalmente il 21, ma per l’inversione apparente del moto solare diventa visibile il terzo/quarto giorno successivo.
Il sole, quindi, nel solstizio d’inverno giunge nella sua fase più debole quanto a luce e calore, pare precipitare nell’oscurità, ma poi ritorna vitale e “invincibile” sulle stesse tenebre. E proprio il 25 dicembre sembra rinascere, ha cioè un nuovo “Natale”.
Tre giorni dal 21 al 25 dicembre.
Tre giorni di buio apparente quindi occorrono perchè il Sole torni a mostrarsi visivamente a risplendere come fonte di ogni vita in cammino verso il nuovo ciclo dell’anno.
Ogni anno il Solstizio invernale appare come una fine e una rinascita. La fine dell’anno passato e l’inizio del nuovo. E questo è il ciclo della Vita.
Le genti dell’ antichitá si consideravano parte dei fenomeni della natura che ritenevano l’espressione nella vita terrestre dei grandi cicli del cosmo.
Al centro di questi cicli c’era l’astro che scandiva il ritmo della giornata, la “stella del mattino” che determinava i ritmi della fruttificazione e che condizionava tutta la vita dell’uomo. Temere che il sole non sorgesse più, vederlo perdere forza d’inverno riducendo sempre più il suo corso nel cielo, era un’esperienza che minacciava la vita di ogni regno di natura.
Così celebravano riti per assicurare la rigenerazione del sole e si accendevano fuochi per sostenerne la forza e per incoraggiare la rinascita e la ripresa della sua marcia trionfale.
Questo avvenimento iniziò ad essere celebrato dai nostri antenati, ad esempio presso le costruzioni megalitiche di Stonehenge, in Gran Bretagna, di Newgrange, Knowth e Dowth, in Irlanda o attorno alle incisioni rupestri di Bohuslan, in Iran, e della Val Camonica, in Italia, già in epoca preistorica e protostorica.
Esso, inoltre, ispirò il “frammento 66” dell’opera di Eraclito di Efeso (560/480 a.C) e fu allegoricamente cantato da Omero (Odissea 133, 137) e da Virgilio (VI° libro dell’Eneide).
Quello stesso fenomeno, fu invariabilmente atteso e magnificato dall’insieme delle popolazioni indoeuropee: i Gallo-Celti lo denominarono “Alban Arthuan” (“rinascita del dio Sole”); i Germani, “Yulè” (la “ruota dell’anno”); gli Scandinavi “Jul” (“ruota solare”); i Finnici “July” (“tempesta di neve”); i Lapponi “Juvla”; i Russi “Karatciun” (il “giorno più corto”)”. (1)
Durante queste feste venivano accesi dei fuochi (usanza che si ritrova nella tradizione natalizia di bruciare il ceppo nel camino la notte della vigilia) che, con il loro calore e la loro luce, avevano la funzione di ridare forza al sole indebolito.
Spesso questi rituali avevano a che fare con la fertilità ed erano quindi legati alla riproduzione. Da qui l’usanza, nelle antiche celebrazioni, di danze e cerimoniali propiziatori dell’abbondanza e in alcuni casi, come negli antichi riti celtici e germanici, ma anche romani e greci, di accoppiamento durante le feste.
Presso i celti era in uso un rito in cui le donne attendevano, immerse nell’oscurità, l’arrivo della luce-candela portata dagli uomini con cui veniva acceso il fuoco, per poi festeggiare tutti insieme la luce intorno al fuoco.
Yule, o Farlas, è insieme festa di morte, trasformazione e rinascita.
Il Re Oscuro, il Vecchio Sole, muore e si trasforma nel Sole Bambino che rinasce dall’utero della Dea: all’alba la Grande Madre Terra dá alla luce il Sole Dio.
La Dea è la vita dentro la morte, perche’ anche se ora è regina del gelo e della oscuritá, mette al mondo il Figlio della Promessa, il Sole suo amante, che la rifeconda riportando calore e luce al suo regno.
I solstizi possono anche leggersi come portali energetici, passaggi dimensionali per nuovi cambiamenti : ”il portale degli uomini”, corrispondente al solstizio d’estate, mentre il solstizio d inverno e’ ” la porta verso il divino”.
Il Solstizio d’Inverno corrisponde alla presa di coscienza della propria spiritualità, come uscita nella luce. Un fascio di luce che penetra da un’apertura nel tetto della “caverna” e che genera quell’illuminazione di riflesso, descritta anche dal mito della caverna sacra di Platone e la cui fonte è il “Sole Intellegibile”.
La rinascita solare rappresenta il simbolo della rigenerazione cosmica, e il Sole e la Luce sono associati all’idea d’immortalità dell’uomo, che rinnova la sua nascita spirituale, verso una maggiore acquisizione della sua consapevolezza, nelle notti del solstizio d’inverno.
E’ il momento in cui, quando la notte ed il buio sembrano prevalere e sovrastarci, è necessario mantenere accesa la fiamma della Coscienza, che al mattino con la Luce ci spingerà a nuove e potenzianti scelte per realizzare i nostri obbiettivi.
Questa è l’opportunità che ogni anno si rinnova nei “ tre giorni di buio” del solstizio invernale.
”Il Sole ritorna sempre, e con lui la vita. Soffia sulla brace ed il fuoco rinascerà”.
Regina del Sole, Regina della Luna
Regina dei corni, Regina dei fuochi
Portaci il Figlio della Promessa.
E’ la Grande Madre che Lo crea
E’ il Signore della Vita che è nato di nuovo!
L’oscurità e la tristezza vengono messe da parte
quando il Sole si leva di nuovo!
Sole dorato, delle colline e dei campi,
illumina la Terra, illumina i cieli,
illumina le acque, accendi i fuochi!!
Questo è il compleanno del Sole,
io che son morto, oggi son di nuovo vivo.
Il Sole bambino, il Re nato in inverno!
(canto tradizionale tratto da “La danza a spirale” di Starhawk)
Leggi anche:
Solstizio d’inverno ” Sol Invictus”
4 Luglio : Dichiarazione dei principi
Ho amato tutti i libri che ho letto di questo scrittore e ho condiviso molti suoi punti di vista riguardo l’essere umano e le sue molteplici personalità. Mi sono emozionata, entusiasmata, commossa, confortata e soprattutto stupita per la varietà dei messaggi celati tra le righe di incredibili situazioni narrate.
Questo suo elenco di principi così universamente validi è per me adatto ad essere ribadito in ogni occasione che celebra la Libertà in tutte le sue interpretazioni.
Dichiarazione dei principi:
- Tutti gli esseri umani sono diversi. E devono fare tutto il possibile per continuare ad esserlo e per rimanere tali.
- Ad ogni essere umano sono stati concessi due campi d’azione: quello dell’azione e quello della contemplazione. Entrambi portano allo stesso risultato.
- Ad ogni essere umano sono state concesse due qualità: il potere e il dono. Il potere spinge la persona a incontrare il suo destino, il suo dono porta l’essere umano a condividere con gli altri ciò che è buono in lui. Un essere umano deve sapere quando usare il potere e quando usare compassione.
- Ad ogni essere umano è stata concessa una virtù: la capacità di scegliere. Colui che non fa uso di questa virtù, sarà condizionato perchè altri sceglieranno sempre per lui
- Ogni essere umano ha diritto a due benedizioni: la benedizione di fare il bene e la benedizione di sbagliare. In quest’ultimo caso, c’è sempre un percorso di apprendimento che conduce alla via giusta.
- Ogni essere umano ha un suo profilo sessuale che può esercitare senza sensi di colpa a patto che non obblighi gli altri a esercitare con lui
- Ogni essere umano ha la propria Leggenda Personale da adempiere e questa è la ragione per cui è nel mondo. La Leggenda Personale è manifesta nel suo entusiasmo per quello che lui fa. la Leggenda Personale può essere abbandonata per un certo tempo, purché uno non la dimentichi e ritorni ad essa il più presto possibile.
- Ogni uomo ha un lato femminile, ed ogni donna ha un lato maschile. sono necessari per usare la disciplina con intuizione ed usare obiettivamente l’intuizione.
- Ogni essere umano deve conoscere due linguaggi: il linguaggio della società e il linguaggio dei presagi. La prima serve per la comunicazione con gli altri. La seconda serve per interpretare i messaggi del proprio Divino.
- Ogni essere umano ha il diritto di perseguire la felicità e la gioia da intendere come qualcosa che sente dentro, che non necessariamente è quello che rende felici gli altri.
- Ogni essere umano deve tenere accesa dentro di sé la sacra fiamma della follia. E deve comportarsi come una persona normale.
- Le mancanze considerate gravi sono solo le seguenti: non rispettare i diritti del prossimo, lasciarsi paralizzare dalla paura, il senso di colpa pensando che non si merita il bene e il male che accadono nella vita ed essere un codardo.
13 “Noi amiamo i nostri avversari, ma non facciamo alleanze con loro. Essi sono utili è il nostro modo di testare la nostra spada e meritano il rispetto nella nostra lotta.
14“Noi scegliamo i nostri avversari, non il contrario.
Si dichiara la fine del muro di separazione del sacro dal profano: d’ora in poi, tutto è sacro. Tutto ciò che si fa nel presente riguarda il futuro di conseguenza è la redenzione del passato.
L’impossibile è possibile.

Il mio lavoro è totalmente impegnato nel nuovo atteggiamento politico, gli esseri umani che cercano la propria identità.
I miei libri non parlano dei vecchi, logori processi di sinistra/destra, ma c’è una rivoluzione in atto che si sta alzando lentamente e che la stampa non sembra aver ancora rilevato.
Se dovessi sintetizzare l’idea in una sola espressione, direi che il nuovo atteggiamento politico del nostro tempo è “vivo e impegnato a morire.”
In altre parole, essere consapevoli e partecipi delle cose fino al giorno della nostra morte, cosa che non capita molto spesso – le persone finiscono per morire il giorno in cui rinunciano ai loro sogni.
La rivoluzione sta prendendo forma. Noi siamo responsabili per il mondo in tutti i sensi, politico, sociale, morale, siamo responsabili per il pianeta. Siamo responsabili per i disoccupati.
Naturalmente possiamo incolpare le banche, per il disastro creato nel sistema finanziario, la repressione politica, l’incapacità dei governi di ascoltare quello che il popolo ha da dire.
Ma questo non aiuterà il mondo a diventare un posto migliore.
Dobbiamo agire e dobbiamo agire ora.
E non abbiamo bisogno del permesso di agire.
Siamo molto più potenti di quanto pensiamo.
Usiamo questo potere, si usa la forza che ognuno di noi ha quando vogliamo perseguire la vera felicità, la propria leggenda personale come la chiamiamo noi.
Siamo sognatori, ma siamo anche la rivoluzione.
I sogni non sono negoziabili.
Diffondete la mia dichiarazione dei principi e mettiamo in pratica tutto ciò che pensiamo dovrebbe essere fatto.
Love, Paulo
(Fonte:http://paulocoelhoblog.com/2011/11/16/la-nueva-revolucion/)
INGLESE : Declaration Principles
SPAGNOLO : Declaration de Principios
PORTOGHESI : Declaração de princípios
1 Febbraio : Imbolc, la festa della Luce Crescente, Brigit e la Candelora
IMBOLC
La festa della luce crescente.
Con Imbolc si festeggia il ritorno
della Luce della fertilità
della Dea
L’energia di Imbolc: grazia, purezza, luce e rinascita.
La luce che è nata al Solstizio di Inverno comincia a manifestarsi all’inizio del mese di febbraio, le giornate si allungano poco alla volta e anche se la stagione invernale continua a mantenere la sua gelida morsa, ci accorgiamo che qualcosa sta cambiando.
Le genti antiche erano molto più attente di noi ai mutamenti stagionali, anche per motivi di sopravvivenza, e questo era il più difficile periodo dell’anno poiché le riserve alimentari accumulate per l’inverno cominciavano a scarseggiare.
Pertanto, i segni che annunciavano il ritorno della primavera erano accolti con uno stato d’animo che oggi, al riparo delle nostre case riscaldate e ben fornite, facciamo fatica ad immaginare.
Se sovrapponiamo la Ruota dell’Anno al nostro moderno calendario, la prima festa che incontriamo cade l’1 febbraio.
Presso i Celti l’1 febbraio era Imbolc(pronuncia Immol’c) detta anche Oimelc o Imbolg. L’etimologia della parola è controversa ma i significati rinviano tutti al senso profondo di questa festa, infatti Imbolc pare derivare da Imb-folc, cioè “grande pioggia”, e in molte località dei paesi celtici questa data è chiamata anche “Festa della Pioggia”: ciò può riferirsi ai mutamenti climatici della stagione, ma anche all’idea di una lustrazione che purifica dalle impurità invernali. Oimelc invece significa “lattazione delle pecore”, mentre Imbolg vorrebbe dire “nel sacco”, inteso nel senso di “nel grembo”, con riferimento simbolico al risveglio della Natura nel grembo della Madre Terra e con un riferimento più materiale agli agnelli, nuova fonte di cibo e di ricchezza, che la previdenza della Natura e degli allevatori avrebbe fatto nascere all’inizio della buona stagione. L’allattamento degli agnelli garantiva un rifornimento provvidenziale di proteine. Il nuovo latte, il burro, il formaggio costituivano spesso la differenza tra la vita e la morte per bambini ed anziani nei freddi giorni di febbraio.
La pianta sacra di Imbolc è il bucaneve, che è il primo fiore dell’anno a sbocciare e il suo colore bianco ricorda allo stesso tempo la purezza della Giovane Dea e il latte che nutre gli agnelli.
Imbolc è una delle quattro feste celtiche maggiori, dette “feste del fuoco” perché l’accensione rituale di fuochi e falò ne costituiscono una caratteristica essenziale. In questa ricorrenza il fuoco è però considerato sotto il suo aspetto di luce, questo è infatti il periodo della luce crescente.
Gli antichi Celti, consapevoli dei sottili mutamenti di stagione come tutte le genti del passato, celebravano in maniera adeguata questo tempo di risveglio della Natura, non vi erano grandi celebrazioni tribali in questo buio e freddo periodo dell’anno, tuttavia le donne dei villaggi si radunavano per celebrare insieme la Dea della Luce (le celebrazioni iniziavano la vigilia, perché per i Celti ogni giorno iniziava all’imbrunire del giorno precedente).
Nell’Europa celtica era onorata Brigit (conosciuta anche come Brighid o Brigantia), Dea del Fuoco, infatti era la patrona dei fabbri, dei poeti e dei guaritori. Il suo nome deriva dalla radice “breo” (fuoco): il fuoco della fucina si univa a quello dell’ispirazione artistica e dell’energia guaritrice.
Brigit, figlia del Grande Dio Dagda e controparte celtica di Athena-Minerva, è la conservatrice della tradizione, perché per gli antichi Celti la poesia era un’arte sacra che trascendeva la semplice composizione di versi e diventava magia, rito, personificazione della memoria ancestrale delle popolazioni.
La capacità di lavorare i metalli era ritenuta anch’essa una professione magica, e le figure di fabbri semidivini si stagliano nelle mitologie non solo europee ma anche extra-europee; l’alchimia medievale fu l’ultima espressione tradizionale di questa concezione sacra della metallurgia.
Sotto l’egida di Brigit erano anche i misteri druidici della guarigione, e di questo sono testimonianza le numerose “sorgenti di Brigit”. Diffuse un po’ ovunque nelle Isole Britanniche, alcune di esse hanno preservato fino ad oggi numerose tradizioni circa le loro qualità guaritrici. Ancora oggi, ai rami degli alberi che sorgono nelle loro vicinanze, i contadini appendono strisce di stoffa o nastri ad indicare le malattie da cui vogliono essere guariti.
Sacri a Brigit erano la ruota del filatoio, la coppa e lo specchio. Lo specchio è strumento di divinazione e simboleggia l’immagine dell’Altro Mondo cui hanno accesso eroi ed iniziati, la ruota del filatoio è il centro ruotante del Cosmo, il volgere della Ruota dell’Anno ed anche la ruota che fila i fili delle nostre vite. La coppa, infine, è il grembo della Dea da cui tutte le cose nascono.
Cristianizzata come Santa Bridget o Bride, come viene chiamata familiarmente in gaelico, essa venne ritenuta la miracolosa levatrice o madre adottiva di Gesù Cristo, e la sua festa si celebra appunto l’1 febbraio, giorno di Santa Bridget o Là Fhéile Brfd. Riguardo questa santa, di cui è tanto dubbia l’esistenza storica quanto certa la sua derivazione pagana, si diceva che avesse il potere di moltiplicare cibi e bevande per nutrire i poveri, potendo trasformare in birra perfino l’acqua in cui si lavava.

A Santa Bridget fu consacrato il monastero irlandese di Kildare, dove un fuoco in suo onore era mantenuto perpetuamente acceso da diciannove monache. Ogni suora a turno vegliava sul fuoco per un’intera giornata di un ciclo di venti giorni; quando giungeva il turno della diciannovesima suora ella doveva pronunciare la formula rituale: “Bridget, proteggi il tuo fuoco. Questa è la tua notte”. Il ventesimo giorno si diceva fosse la stessa Bridget a tenere miracolosamente acceso il fuoco. Il numero diciannove richiama il ciclo lunare metonico, che si ripete identico ogni diciannove anni solari.
Inutile ricordare come questa usanza ricordasse il collegio delle Vestali che tenevano sempre acceso il sacro fuoco di vesta nell’antica Roma, ma più probabilmente la devozione delle suore di Kildare si ricollega alle Galliceniae, una leggendaria sorellanza di druidesse che sorvegliavano gelosamente il loro recinto sacro dall’intrusione degli uomini, e i cui riti furono mantenuti attraverso molte generazioni. Allo stesso modo, nel monastero di Kildare solo alle donne era concesso di entrare nel recinto dove bruciava il fuoco, che veniva tenuto acceso con mantici, come ricorda Geraldo di Cambria nel dodicesimo secolo: il fuoco bruciò ininterrottamente dal tempo della leggendaria fondazione del santuario fino al regno di Enrico VIII, quando la Riforma protestante pose fine a questa devozione più pagana che cattolica.
I riti di Brigit celebrati ad Imbolc ci sono stati tramandati dal folklore scozzese e irlandese.
In Irlanda si preparano con giunchi e rametti le cosiddette croci di Brigit, a quattro bracci uguali racchiusi in un cerchio, cioè la figura della ruota solare (che è simbolo appropriato per una divinità del fuoco e della luce); lo stesso giorno vengono bruciate le croci preparate l’anno prima e conservate fino ad allora.
La fabbricazione delle croci di Brigit deriva forse da un’antica usanza precristiana collegata alla preparazione dei semi di grano per la semina. Questi oggetti simbolici, confezionati con materiale vegetale, ci ricordano tra l’altro che la luce ed il calore sono indispensabili alla vegetazione che si rinnova in continuazione, anno dopo anno.
Le spighe di avena (o grano, orzo) usate per fabbricare le bambole di Brigit, provengono dall’ultimo covone del raccolto dell’anno precedente. Questo ultimo covone, in molte tradizioni europee è chiamato la Madre del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena) e la bambola propiziatoria confezionata con le sue spighe è la Fanciulla del Grano (o dell’Orzo, dell’Avena), si credeva cioè che lo spirito del cereale o la stessa Dea del Grano risiedesse nell’ultimo covone mietuto: come le spighe del vecchio raccolto sono il seme di quello successivo, così la vecchia divinità dell’autunno e dell’inverno si trasformava nella giovane Dea della primavera, in quella infinita catena di immortalità che è il ciclo di nascita, morte e rinascita. E Brigit rappresenta appunto la giovane Dea della primavera.
Un antico codice irlandese, il Libro di Lisrnore, riporta una curiosa leggenda. Si narra che a Roma i ragazzi usavano giocare ad un gioco da tavolo in cui una vecchia megera liberava un drago, mentre dall’altra parte una giovane fanciulla lasciava libero un agnello che sconfiggeva il drago. La megera allora scagliava un leone contro la fanciulla, la quale però provocava a sua volta una grandine che abbatteva il leone. Papa Bonifacio, dopo aver interrogato i ragazzi ed aver saputo che il gioco era stato insegnato loro dalla Sibilla, lo proibì.
La megera non è altro che la Vecchia Dea dell’Inverno sconfitta dalla Giovane Dea della Primavera. Essendo questa leggenda stata raccolta in un ambito culturale celtico, si può supporre che la Vecchia altri non era che la Cailleach a cui si contrappone Brigit. Il riferimento all’agnello è un altro simbolo del periodo di Imbolc, anche se i commentatori medievali lo considerarono l’emblema di Gesù Cristo.
In realtà, è la Vecchia Dea che si rinnova trasformandosi in Giovane Dea, così come il Vecchio Grano diviene il nuovo raccolto.

I Carmina Gadelica, una raccolta di miti, proverbi e poemi gaelici di Scozia, raccolti e trascritti alla fine dell’800 dal folklorista scozzese Alexander Carmichael, riportano la seguente filastrocca:
“La mattina del Giorno di Bride
Il serpente uscirà fuori dalla tana
Non molesterò il serpente
Né il serpente molesterà me”
Il serpenteappare come uno degli animali totem di Brigit.
In molte culture il serpente o drago è simbolo dello spirito della terra e delle forze naturali di crescita, decadimento e rinnovamento. Nel giorno di Bride il serpente si risveglia dal suo sonno invernale e i contadini ne traevano il presagio della fine imminente della cattiva stagione.
Il serpente è uno dei molti aspetti dell’antica Dea della terra: la muta della sua pelle simboleggia il rinnovamento della Natura ed anche la sua dualità, infatti in gaelico “neamh” (cielo) è simile a “naimh” (veleno), provenendo entrambi dalla radice “nem”. Quindi la Vecchia Dea e la Giovane Dea sono la stessa persona.
In un’altra area culturale europea, nell’antica Roma, i primi giorni di febbraio erano sacri alla dea Februa o a Giunone Februata. “Februare” in latino significa purificare, quindi febbraio è il mese delle purificazioni (anche la febbre è un modo di purificarsi usato dal nostro corpo).
Processioni in onore di Februa percorrevano la città con fiaccole accese, simbolo di luce e, allo stesso tempo, di purificazione.
Col nome di Candelora o Candlemas (nei paesi anglosassoni) è nota la festa cristiana del 2 febbraio, denominata “Presentazione del Signore al Tempio”, ma è evidente che la nuova religione non ha potuto modificare il significato autentico della festa, un significato che è profondamente incarnato nella Natura e nello spirito umano. Il legame della festa con le candele, la purificazione e l’infanzia, sopravvisse nell’usanza medievale di condurre le donne in chiesa dopo il parto a portare candele accese.
L’idea di una purificazione rituale in questo periodo è rimasta forte nel folklore europeo, ad esempio le decorazioni vegetali natalizie vengono messe da parte e bruciate alla Candelora per evitare che i Folletti in esse si sono nascosti infestino le case.
Il concetto di purificazione è presupposto di una nuova vita, si eliminano le impurità del passato per far posto alle cose nuove.
Alcuni gruppi neopagani europei festeggiano Imbolc accendendo candele che sporgono da una bacinella di acqua. Il significato è quello della luce della nuova vita che emerge dalle acque del grembo materno, le acque lustrali di Imbolc che lavano via le scorie invernali.
https://it.wikipedia.org/wiki/Imbolc
https://giardinodellefate.wordpress.com/mondo-celtico/gli-8-sabbat/
Cosa sarà…oh, cosa sarà…
cosa sara’
che fa crescere gli alberi la felicita’
che fa morire a vent’anni
anche se vivi fino a cento
cosa sara’
a far muovere il vento
a fermare un poeta ubriaco
a dare la morte per un pezzo di pane
o un bacio non dato
oh cosa sara’
che ti svegli al mattino e sei serio
che ti fa morire ridendo di notte
all’ombra di un desiderio
oh cosa sara’
che ti spinge a domare una
donna bassina perduta
la bottiglia che ti ubriaca
anche se non l’hai bevuta
cosa sara’
che ti spinge a picchiare il tuo re
che ti porta a cercare il giusto
dove giustizia non c’e’
cosa sara’
che ti spinge a comprare di
tutto anche se è di niente che hai bisogno
cosa sara’
che ti strappa dal sogno
oh cosa sara’
che ti fa uscire di tasca dei
no non ci sto ti getta nel mare
ti viene a salvare
oh cosa sara’
che dobbiamo cercare
che dobbiamo cercare
cosa sara’
che ci fa lasciare
la bicicletta sul muro
e camminare la sera con un amico
a parla del futuro
cosa sara’
questo strano coraggio
paura che ci prende
che ci porta a ascoltare
la notte che scende
oh cosa sara’
quell’uomo e il suo cuore benedetto
che e’ sceso dalle scarpe e dal letto
si e’ sentito solo
e’ come un uccello che in volo
e’ come un uccello che in volo
si ferma e guarda giu’
Lucio Dalla
































